Al di là di questo giardino
una strada d’asfalto.
Dopo la curva una valle.
E poi ancora oltre,
in lontananza,
lo sguardo si perde
mentre si stringe il petto
al freddo di una estate
che sembra non arrivare.
Che ci faccio io qui?
Perché non sono fuggita?
Perché… perché tutto
sembra così ostile?
Tu non ci sei
eppure tormenti l’animo.
Non ci sei
eppure tocchi la mia pelle.
E brucia l’idea.
Dopo la curva l’incognita
che fa tanta paura.
Che ci blocca come statuine.
Un due tre stella,
non si gioca più.
Stamattina ho letto un interessante post di Luca Rota, “Il metodo Kilgore Trout, o come scrivere una sola storia scrivendone nel contempo tante…“.
Lì per lì non ci ho capito molto: forse perchè ancora mezza insonnolita (ma non troppo); forse perché un po’ appesantita dalla cena della sera prima (dopo gli allenamenti di tennistavolo ho una fame da scaricatore di porto e, inoltre, un bicchiere di vino non me lo nego).
Poi l’ho riletto attentamente.
Sono ore e ore che rimugino. Cosa?
Che da anni cerco il mio Kilgore Trout!!!
“Ogni scrittore dovrebbe inventare un metodo, un Kilgore Trout, che gli consenta di dare in qualche modo forma letteraria ai capolavori che non riesce a scrivere. Potrebbe essere un toccasana.”
Mi rendo conto di avere dei forti limiti in fatto di scrittura.
Una mia poesia è immediatezza allo stato puro, ispirazione ed emozioni fusi e subito gettati fuori dall’interno, riversati su di un foglio.
Quasi sempre riesco a soddisfare questa mia impellente esigenza di “espulsione” e di “concretizzazione in versi”.
Quando non mi è possibile farlo subito, cerco faticosamente di trattenere tutto dentro fino al possibile momento del parto: a volte ci riesco, a volte no.
Questo per quanto riguarda la poesia, ma per tutto il resto?
Ho una mente sempre attiva, nonostante il mio volere, ed è certo un bene.
La fantasia non mi abbandona (per fortuna!), altrimenti sarei poco creativa anche nel lavoro e non sarebbe conveniente.
Le idee non mancano, i progetti pure, anche editoriali; durante il giorno, in quel che per molti è noiosa quotidianità, anche i piccoli fatti riescono ad accendermi, producendo spunti per aforismi, racconti, romanzi…
Dovrei viaggiare con un taccuino in tasca (ce l’ho: regalo graditissimo e gelosamente custodito) e un lapis (anche questi non mi mancano: ne posseggo di tutti i tipi), perché ho riscoperto da poco il piacere graffiante della grafite sulla carta.
Annotare tutto, con quella stessa immediatezza che uso per la poesia; intrappolare le idee tra le pagine.
Facile a dirsi. E poi?
E poi mi incaglio in quello scoglio che da sempre m’impedisce di mettere in pratica e portare a termine l’opera: la mancanza di organizzazione!
Sì, perché nel lavoro, in casa, nello sport, riesco a organizzarmi e direi discretamente; ma quando si tratta di scrivere un breve o lungo romanzo mi trasformo: divento un’inetta, traccheggio, inizio e poi mollo.
C’è sicuramente una tecnica, una scuola, un metodo da seguire…
Però quanto mi farebbe comodo un Kilgore Trout tutto per me!!!
Tempo fa ho cercato pure un “compagno di penna”: in due credo ci si diverta di più e la mente si “espande”.
Un amico con il quale condividere la passione della scrittura e poter realizzare così insieme un “best seller”.
Cercavo un lui per compensare il mio lato femminile ben distinto e presente.
Ma anche in questo frangente – come nell’amore – se non c’è feeling tutto svanisce, come una bolla di sapone.
In solitario compongo le mie poesie, restando comunque un animalino da compagnia.
In fondo la vita è una storia fatta di tante storie: che sia un alter ego oppure no, incontrerò prima o poi il mio Kilgore Trout.
O no?
Dita su tessuto dalle trame d’oro
vorrebbero toccare
vorrebbero sentire
s’accontentano di un’attesa
che sembra mai finire
accarezzando di te l’idea
che sanno già di amare
ancor prima tu dica “Amore”
tra due labbra sottili
che con le mie
si vorrebbero intrecciare.
Rivestita di un’idea
lievitata come pasta
al tiepido risposta
e di nuovo amalgamata
continuamente senza sosta
poi un dito sopra ci poso
e il tutto si sgonfia.
Ah, mio amore!
Mio dolore…
Sono solitudine
in tutte le ore
e durante il giorno.
La notte dormo
se sogno non sono io
che di sogni non più mi cibo
inseguendo note
che di te hanno il profumo
e di grave la pienezza.
Mio amore…
Frulla che ti rifrulla
in una domenica d’estate
l’idea fissa
tra la calura e le pietre
brucianti come lava
e il ricordo luccicante
tra le sponde del fiume
silenzioso andarsene,
con il susseguirsi dei suoi ponti
nella mente ove hai lasciato
dormiente la giovinezza.
E frulla dalla testa
scendendo al petto,
e t’accarezza sempre più in basso,
sempre più giù,
fino al pube bruciante:
non t’abbandona l’aria calda.
E la gonna leggermente sollevata
scherza col vento
mentre qualcuno ti prende
per poggiarti sulla spalletta
e rubarti un bacio
dalle labbra umide e sorridenti.
Frulla nell’idea
di essere lì come a vent’anni,
di te che non sei con me
e dell’amor che non abbandona
certe sensazioni,
sul lungarno di una Firenze
che ci ritroverà prima o poi
abbracciati al tramonto
a far rifrullo
in una domenica d’estate.
Immagina l’avanzare
di umida bocca
e il morso del labbro
inferiore.
Come menta pungente
non ha età
il risveglio di un senso,
del tango
il sensuale passo strisciato
e l’anca elevata.
Ed è femmina.
Bella,
di una bellezza insospettabile.
Oppure
è solo desiderio,
lasciato troppo tempo sopito,
dimenticato,
ora percepito come profumo.
E ti sorprendi vivo.
Né bianca, né nera
la mia coscienza
mentre ancora s’infiamma
all’idea di me, nuda
percorsa dal desiderio
sfiorandomi la pelle
e tintinnando a te
i miei gioelli.
Né bianca, né nera…
che già sento l’onda arrivare
e le tue mani premere i seni
quasi a volermi trattenere.