Cronaca di un giorno di (stra)ordinaria follia
Adesso, a molti, questi giorni tra le mura di casa forse sembreranno tutti uguali.
Dopotutto (o nonostante tutto), domani è un altro giorno.
Non è un caso questa citazione al film “Via col vento”.
La celebre frase pronunciata da Rossella O’Hara in fondo suggerisce un’analisi della nostra indole, del nostro modo di rapportarci con il mondo e di come affrontiamo le contingenze della vita.
La vita…
Fino ad un ieri ormai evanescente la vita era così frenetica, intensa, dinamica, ricca di eventi molto spesso poco considerati.
Oggi invece il tempo sembra essersi fermato, acquisendo una consistenza mai “sentita” prima.
È per questo che adesso, costretti in quarantena e ai minimi rapporti sociali, appare così “diverso”, perché questa “pesantezza” mai avvertita (o solo leggermente in qualche occasione) ci fa provare contemporaneamente una serie di forti sentimenti umani che vanno dalla paura alla speranza, dalla tolleranza alla chiusura, dalla rabbia alla depressione.
Ed ognuno reagisce come può.
Non è un caso nemmeno il titolo di questo articolo: chi non ricorda il film “Un giorno di ordinaria follia”?
Quell’uomo nella sua auto, bloccato dal traffico in un sottopasso, che inizia a percepire l’intollerabilità di ciò che lo circonda…
Senza andare oltre: un uomo bloccato come lo siamo noi adesso.
Ogni medaglia ha due facciate, anche in questo frangente: una positiva e l’altra negativa.
Non è questo il momento di elencare la lunga serie degli aspetti negativi; però possiamo concentrarci su quelli positivi e moltiplicarli, perpetuarli.
“Ognuno è artefice del proprio destino” cita Appio Claudio Cieco, perché “spetta a noi crearci le cause della felicità. È in gioco la nostra responsabilità e quella di nessun altro” precisa il Dalai Lama.
Le mie giornate in questo periodo segnato dal COVID-19 non sono poi così diverse da quelle di un paio di mesi prima, dove ho dovuto rinunciare a “svariate” libertà a causa di un grave problema di salute del mio compagno.
È solo aumentato il peso del fardello portato sulle spalle, la responsabilità di una famiglia, la paura di un futuro incerto e il senso di caparbietà a “resistere”, il tutto con il sorriso sulle labbra e l’acuita sensibilità ai piaceri della vita.
Sì, perché provo piacere anche nel semplice impastare il pane che consumiamo quotidianamente, con la certezza che ogni volta riesce sempre meglio.
Provo piacere quando riesco a inventare una nuova ricetta dagli avanzi della sera prima.
Provo un gran piacere quando il mio compagno ridendo fa la scarpetta al ragù rimasto nel piatto.
La domenica di Pasqua è trascorsa fin dal giorno prima tra i fornelli: preparativi soppesati e scanditi temporalmente direi quasi alla perfezione. Ma in fondo è stato un giorno come i precedenti, o comunque come quelli degli anni passati, forse meglio, perché ho potuto apprezzare sfumature in precedenza non sempre valorizzate.
Come quello di inventarmi per amore una pastiera napoletana senza lattosio (e quindi senza ricotta) e senza canditi perché a mia figlia, ahimè, non piacciono. Il risultato è stato buono ma migliorabile.
Il resto del menù un misto tra tradizione toscana e napoletana:
- Crostini neri toscani
- Pasta in forno al ragù e besciamella
- Agnello con patate e piselli
Il Lunedì di Pasqua avremmo dovuto fare la grigliata fuori in giardino: il tempo non è sembrato promettere bene, nonostante poi si sia sistemato in tarda mattinata ma non con le temperature calde del giorno prima. Così abbiamo optato nel riutilizzare gli avanzi: delle patate e piselli rimaste con un po’ di agnello tagliato al coltello, e il tutto rimesso sul fuoco per una decina di minuti, ne è uscito un ottimo condimento per la pasta.
I giorni a seguire non sono stati diversi, intercalati solo da pochi impegni lavorativi.
Oggi, 16 aprile, è un altro giorno, comunque speciale. È il compleanno di Chiara: compie venti anni.
A suo tempo avevo prenotato la cena in un ristorante che so avrebbe gradito… beh, dovrà accontentarsi.
Ma sono certa sarà una bella festa. Piena d’amore e in famiglia.
16 aprile 2020
•
Cronaca di un giorno di (stra)ordinaria follia © Paula Becattini
Fuori dal coro
•
Oggi? Una giornata un po’ così…
Eppure nel pomeriggio la mente è stata piena di parole, frasi, concetti, di quelli che premono forte per uscire fuori.
Niente: sono rimasta in uno stato di stitichezza espressiva fino a questo momento, giusto per dire poco o niente; perché poi, alla fin fine, non ho nessuno con cui parlare a parte mia figlia. Ma oggi è sabato e, da brava adolescente, se ne è stata rintanata in camera sua. Se lo merita.
Adesso attendo che la crosta della torta salata s’indori in forno per poi finalmente cenare, soddisfatta del mio piatto unico a basso costo (5 euro in totale), certa che sarà servito anche domani sera come “antipasto”.
Non è semplice: stamani ho fatto la spesa e con 35 euro di cibarie dovrò andare avanti per almeno 5 giorni.
Una cosa mi rode, però: il fatto che alla radio ho sentito decantare l’ultimo romanzo di Stefania Bertola – Ragazze mancine –, il quale racconta di Adele, una ragazza di trentadue anni che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, ma una mattina si sveglia e scopre che il suo mondo non esiste più.
Così le tocca fare i lavori più disperati per sovravvivere, vestire sua figlia con abiti usati e comprare cibi di pessima qualità ai discount per risparmiare.
Beh, io non sono molto diversa da lei: a parte il fatto che mi sono sempre guadagnata da vivere, facendomi un mazzo così ma con soddisfazione; che mai ho desiderato farmi mantenere; e che nessun uomo mi ha lasciata in mutande con una figlia piccola da accudire – semmai sono io che ho fatto scelte sbagliate, e prima o poi qualcuno ti presenta il conto… salato –.
Però un giorno mi sono svegliata e il mio mondo non c’era più.
Niente più sicurezze, niente più spensieratezza; e la gioventù che non torna, insieme alla possibilità di avere un altro figlio; via la possibilità di costruire un futuro sereno dove ritrovarsi in vecchiaia.
Che ne sa Stefania Bertola di come vivo?
Il suo romanzo… anche se divertente, coinvolgente, intelligente, non lo leggerò. Per lo meno non in questo momento storico.
Mi basta e avanza “viverlo”.
Poi il suo finale sarà sicuramente eclatante.
Il mio? Ci sto lavorando sodo.
E per il momento me ne resto fuori dal coro.
P.S. – La torta salata era ottima (sì, perché nel frattempo abbiamo anche cenato): pasta sfoglia, erbette miste saltate prima in padella con il burro, prosciutto crudo dolce tagliato a dadini, panna, uova, parmigiano reggiano grattugiato, sale e un pizzico di noce moscata. Tutto rigorosamente acquistato al discount (tranne il fondo di crudo).
9 novembre 2013
•
Fuori dal coro © Paula Becattini
•
E ricomincio con uno stufato!
•
Prima o poi dovevo decidermi a superare lo scoglio!
Allora, perché no?
Questo mi sembra l’anno decisivo: o la va o la spacca, in tutti i sensi e in tutte le direzioni.
Così mi sono buttata a capofitto, ricominciando con uno stufato.
O meglio: ricominciando a fare servizio come sommelier e precisamente alla IV edizione del Palio dello Stufato organizzato dall’Amministrazione Comunale di San Giovanni Valdarno – tenutosi oggi presso i saloni della Basilica di Santa Maria delle Grazie –; concorso che in questa edizione ha premiato “La migliore realizzazione dello Stufato alla Sangiovannese nella gastronomia familiare”.
Ma non è tutto: domani inizierò il terzo livello del corso di Sommelier AIS presso la Delegazione di Arezzo.
Vediamo di “chiudere questo cerchio” e di abbattere certe insicurezze.
E soprattutto vediamo di studiare, eh!
Auguratemi in bocca al lupo…
17 febbraio 2013
•
E ricomincio con uno stufato © Paula Becattini
Un curiosità
Lo stufato alla Sangiovannese si prepara tradizionalmente nel periodo di carnevale a San Giovanni Valdarno in provincia di Arezzo.
Le spezie sono la peculiarità di questa preparazione, infatti la miscela si può acquistare solo in una drogheria del paese che custodisce il segreto della ricetta da moltissimi anni.
Qui di seguito vi propongo la ricetta descritta in poesia.
(altro…)
Gelo di cannella
•
Il vento dell’inverno le bruciava il viso come usciva di casa; e lei guardava sempre oltre il cancello: vi arrivava a passi veloci, stando comunque attenta a non scivolare.
Poi correva via, lasciandosi alle spalle il vialetto, la casa, sperando che la giornata la portasse lontano, dai pensieri, dai ricordi, dai sogni.
Ma in fondo cosa sono i sogni? Schiaffi gelidi che da tempo evitava, nonostante il gelo.
Fin quando, un mattino, la brina nel suo giardino le rapì lo sguardo: bianca come zucchero sull’erba sofferente, sulle foglie degli ulivi e la pianta di salvia che, imperterrita, si curava da sola.
Era trascorso poco più di un anno e, dondolandosi sui tacchi, fumando aria dai polmoni, ripensò a quella prima volta che non avrebbe dovuto esserci, che non avrebbe dovuto squarciarle l’anima e tirarle fuori le emozioni.
Ma questo accadde, insieme al risveglio dei sensi, al piacere di soffermarsi nello scoprire i profumi, nel percepirne le sfumature, i colori e i sapori. Perché anche i sapori hanno tonalità nascoste…
Ricordò i suoi libri di ricette, che in gioventù aveva consumato con letture avide e mani sporche di frenetica attività, atti a donarle gioia e altrettanta soddisfazione nel distribuirla ai suoi cari con manicaretti su tavole imbandite.
Tra questi uno in particolare, seppur trattasse di dolci, amaro come il fiele; ma lì stava e ogni tanto si faceva aprire come per dire: «Non mi abbandonare».
Avesse almeno nevicato, si sarebbe rinchiusa nel suo guscio, che niente aveva a che fare con le pareti di una stanza in particolare.
Aveva tutto per preparare un delizioso gelo, tranne la cannella…
Ma aveva dimenticato, cancellato, perso l’usanza di curare la dispensa.
Di spezie è condita la vita: senza si muore lentamente, nell’insipidità ci si ingrigisce.
Così finalmente rialzò lo sguardo.
Un cancello; è solo uno stupido cancello. E tornò indietro.
Rientrando in casa si disse: «Oggi ho voglia di cucinare…»
29 gennaio 2013
•
Gelo di cannella © Paula Becattini
•
La ricetta
GELO DI CANNELLA AI PISTACCHI
Ingredienti:
200 g di stecche di cannella, 700 g di zucchero, 200 g di amido, 20 g di pistacchi, 2 litri di acqua.
Lasciate a macerare per una notte, nell’acqua, le stecche di cannella e successivamente fate bollire il tutto, e lasciate poi riposare per circa un giorno.
Rimettete sul fuoco, aggiungendo l’amido e lo zucchero, sempre mescolando, finché non si addensa.
Lasciate raffreddare e spolverate con i pistacchi tritati.
Ed io ti “fiammo” la crema!
Per me è solo una questione di… poesia, anche in cucina: non è la stessa cosa, nonostante il risultato possa essere migliore.
E così inorridisco quando al ristorante mi caramellano lo zucchero della crema catalana con il flambatore da cucina.
In realtà ci vorrebbe la planxa per cremar (in catalano), un disco di ghisa che scaldato sul fuoco per alcune decine di minuti e poi appoggiato sopra caramella lo zucchero all’istante.
Ma in mancanza di questo, perché non flambare lo zucchero grazie all’utilizzo di un liquore o un distillato e creare così un effetto scenografico a tavola che attira sempre?
Perché ne altererebbe il sapore originale?
Allora, in nome della tradizione, meglio usare il ferro per cremare, che comunque si trova in commercio.
L’utilizzo del grill del forno è rischioso, in quanto la crema fredda potrebbe impazzire (se non si mettono gli stampini e bagnomaria) e l’interno scaldare (deve invece essere freddo).
La crema catalana nella foto è stata flambata con un liquore, che poi è risultato insapore, dallo chef Alessandro Dell’Acqua.
2 settembre 2011
*
Mhmm… Orval – parte prima
Matilde di Canossa l’ha definita una Valle d’oro regalandogli così il nome e l’emblema.
Ma, a quanto pare, l’Abbazia di Orval ha color oro anche il pane, la famosa birra trappista e… il formaggio.
Immersa nella valle boscosa di De Gaume e fondata nel 1070 da un gruppo di monaci benedettini provenienti dalla Calabria, Orval è una delle più importanti abbazie cistercensi del Belgio.
Il suo formaggio (di tre tipi) risale a quello prodotto per la prima volta nel 1816 dai trappisti delll’Abbazia di Port-du-Salut (Francia).
E solo ad Orval potrete degustare e acquistare il famoso formaggio trappista alla birra.
Mhmm, buono!
Specialmente con il pane ai cereali (sempre d’abbazia) imburrato.
29 agosto 2011
*
Pulvis
Come pulviscolo
vapore che sale
particelle eteree
ovunque disperse
a poco a poco
svanire nel nulla
lasciando solo
un lieve aroma
di vaniglia e cannella
così vorrei che tu
mi trattenessi
tra le pieghe
di un bel ricordo
che fu
il nostro amarci
sfidando il mondo.
3 settembre 2009
*
Pulvis © Paula Becattini
*
Curiosità
Vaniglia e cannella sono due spezie che amo molto nelle alchimie culinarie e ricorrono spesso nelle mie poesie.
Molto apprezzate dall’universo femminile, le loro essenze vengono impiegate in profumeria e in cosmetica.
La cannella ha un aroma secco e pungente che dona una nota speziata alla vaniglia che ha invece toni aromatici caldi, avvolgenti che danno una sensazione di benessere e rilassamento, stimolando allo stesso tempo allegria e buon umore.
Inoltre la vaniglia è una varietà di orchidea, ha proprietà stimolanti, antisettiche ed è altamente… afrodisiaca!
Florence remember
Io me lo ricordo ancora, eppure lo ricordo…
Quel sole pieno di luce inondare la cucina.
Quello sbattere con la forchetta acqua e farina, lentamente, come al rallentatore.
Flop… flop…
E gli occhi di mia madre, languidi e leggermente socchiusi perché mai portava gli occhiali, nonostante la miopia.
Me lo ricordo ancora…
L’arte del proceder cauti per ottenere crema di velluto.
«Il trucco è metterci un po’ di bicarbonato…»
Flop… flop… ancora un po’ d’acqua.
«E fare pezzi piccoli…»
Io la guardavo dal basso dei miei dieci anni.
Non l’aiutavo, ma osservavo attentamente ogni gesto, finché non mi chiedeva d’infarinare.
Fatto questo, immergevo i pezzi ad uno ad uno nella pastella.
E mi soffermavo sul lento sprofondare e l’avvolgere della crema la bianca carne, come l’ultimo abbraccio di due innamorati.
«Ora il tutto deve riposare…»
Con religioso silenzio, la zuppiera veniva riposta in frigo.
E poi il gioco fino a quando il profumo non risvegliava la fame!
Una corsa alla tavola… ed era lì, fumante, perché andava mangiato caldo, con i tondoni e le verdurine.
La ricetta del coniglio fritto, quella del nonno che io ho conosciuto solo una volta tanto tempo fa, me la ricordo ancora e la porto con me nel cuore.
E con lei mia madre, che mi ha trasmesso sensazioni ed emozioni, oltre la passione di gioire e creare tra i fornelli.
25 marzo 2007
*
Florence remember © Paula Becattini