Poesie in Versi – 23 febbraio 2011
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Senz’altro notevole, persino curioso direi, leggere al giorno d’oggi, immersi come siamo in traversie nazionali e mondiali di ogni genere, un versificare limpido e perfetto – certo non guasterebbe, visto il genere, qualche rima alternata – su gioie e richiami onirici tipici del gusto della vaniglia (e del suo profumo).
Già porsi dinanzi alla realtà circostante, quale che sia, rinnovando l’eco pascoliana del candore, della bontà dell’infanzia e del suo riproporsi, non sarebbe poco: ”sulle labbra solletichi/ ricordi di bimba/sciolti lentamente/un giorno di fiera”.
Difficile credere come, ”tra le dita vetrato” e assaporato da “una lingua pungente”, questo trofeo dei bambini di una volta abbia mantenuto la spinta regressiva liberatoria dal dolore, dal male e dalla morte che la delusione nell’infallibilità della scienza o del progresso dell’epoca crepuscolare poteva simbolicamente attribuirgli.
Ma in realtà, seguendo una indicazione poetica assai raffinata, tra questi versi si insinua, e via via progredisce sino a divenire certezza, un messaggio di inquietante attualità tale da indurre a riflettere su come sia possibile rispondere alla crisi odierna di valori (e non solo…) ricorrendo a un atto di coraggio ancorato nell’intimo e nel privato che si proietti, come forma alternativa di attacco, nel mondo e nella società circostante a scavalcarne le contraddizioni.
Come? Anticipandole, riconducendone gli elementi stravolti al loro significato originale “in un bianco rilucente” che non le imprigioni in alcuna preconfezionata sigla ma scivoli via “prima d’arrivar/a passo veloce/ alla giostra”. La giostra della vita, la quale, terminato un giro, indifferente, ne intraprende uno successivo, con lo stesso punto di partenza, il medesimo traguardo, se non siamo noi a modificarne il viaggio.
Non vogliamo nasconderci nel mondo ludico dei bambini, senza presente né futuro perché autodeterminato, per sfuggire alle condizioni severe della vita attuale: non abbiamo smarrito, come l’uomo decadente di cento anni orsono, la volontà eroica della Ginestra del Leopardi di schierarci contro la natura perversa delle cose tentando di scardinarle e, quando ci sovrastano come accade al fiore sul Vesuvio, abbassando la testa, per rialzarla appena possibile.
Semplicemente, oggi – ma credi, cara Paula, non è affatto semplice – questa tua poesia sembra suggerire, come proposta antagonista, di godere sino all’ultimo, quando è tempo di fiera, il nostro zucchero “fino allo stecco/ color tabacco”, di tentare addirittura di protrarne più a lungo il dolce ricordo conservandone, come cimelio, il bastoncino infilato “tra le ciocche al vento”, perché in realtà la coltre pesante della lava dei nostri tempi non si scioglierà mai, anzi – forse – una nuova guerra, una ennesima prepotenza ne produrrà immediatamente un’altra e più terribile ondata.
Non possiamo vivere dunque aspettando immobili che la fiera torni in città, ma, come nell’infanzia, salire “a passo veloce” sul nuovo giro di giostra e, con il nostro innato, irriducibile amore per la vita, per una natura benevola quando non venga sconvolta dall’uomo, assaporare il gusto della trasgressione dalle norme succhiando lo zucchero filato e infilandone lo stecco tra le ciocche dei capelli, a volontà. Pare che una volta una bambina confessasse a Sigmund Freud un segreto disappunto: “Peccato che non possa baciarmi io stessa”.
Cinzia Baldazzi
*
Zucchero filato
Zucchero filato
tra le dita vetrato,
sulle labbra solletichi
ricordi di bimba
sciolti lentamente
un giorno di fiera.
Lingua pungente,
profumo di vaniglia,
bianco rilucente,
fino allo stecco
color tabacco
l’idea di metterlo
tra le ciocche
al vento.
E scivola via
prima d’arrivar
a passo veloce
alla giostra.
Come l’amore.
Zucchero filato
tra le dita vetrato…
5 febbraio 2011
*
Zucchero filato © Paula Becattini
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