Fosse facile cambiare lo stato delle cose,
pulire il foglio per riscrivere una storia
senza i segni di matita in trasparenza
a ricordarne i tracciati e le briciole di gomma
sparse qua e là in quel che fu la sua essenza.
Fosse facile avrei quaderni dalle copertine colorate
disposte sullo scaffale del sussegursi dei miei anni,
e un sorriso sulle labbra al pensiero
che l’opera migliore è sempre quella che ha da venire,
da meravigliare chi mi legge dentro.
Ma in realtà la vita è breve, non è un romanzo
dal lieto fine con possibilità di seguito.
Così scopro l’ultima pagina bianca del mio libro
e la matita consumata nel segno grigio di una mina
che potrebbe da un momento o l’altro spezzarsi.
Eppure avrei ancora tanto da raccontare…
Forse conviene preservare quel candido,
galleggiare in quel vuoto che in fondo non fa così male
più di quel che ha fatto tutto il resto
nella pienezza di una felicità ostinatamente inseguita.
È il mio finale a sorpresa.
Il mio best seller dettato dall’istinto.
Oggi? Una giornata un po’ così…
Eppure nel pomeriggio la mente è stata piena di parole, frasi, concetti, di quelli che premono forte per uscire fuori.
Niente: sono rimasta in uno stato di stitichezza espressiva fino a questo momento, giusto per dire poco o niente; perché poi, alla fin fine, non ho nessuno con cui parlare a parte mia figlia. Ma oggi è sabato e, da brava adolescente, se ne è stata rintanata in camera sua. Se lo merita.
Adesso attendo che la crosta della torta salata s’indori in forno per poi finalmente cenare, soddisfatta del mio piatto unico a basso costo (5 euro in totale), certa che sarà servito anche domani sera come “antipasto”.
Non è semplice: stamani ho fatto la spesa e con 35 euro di cibarie dovrò andare avanti per almeno 5 giorni.
Una cosa mi rode, però: il fatto che alla radio ho sentito decantare l’ultimo romanzo di Stefania Bertola – Ragazze mancine –, il quale racconta di Adele, una ragazza di trentadue anni che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, ma una mattina si sveglia e scopre che il suo mondo non esiste più.
Così le tocca fare i lavori più disperati per sovravvivere, vestire sua figlia con abiti usati e comprare cibi di pessima qualità ai discount per risparmiare.
Beh, io non sono molto diversa da lei: a parte il fatto che mi sono sempre guadagnata da vivere, facendomi un mazzo così ma con soddisfazione; che mai ho desiderato farmi mantenere; e che nessun uomo mi ha lasciata in mutande con una figlia piccola da accudire – semmai sono io che ho fatto scelte sbagliate, e prima o poi qualcuno ti presenta il conto… salato –.
Però un giorno mi sono svegliata e il mio mondo non c’era più.
Niente più sicurezze, niente più spensieratezza; e la gioventù che non torna, insieme alla possibilità di avere un altro figlio; via la possibilità di costruire un futuro sereno dove ritrovarsi in vecchiaia.
Che ne sa Stefania Bertola di come vivo?
Il suo romanzo… anche se divertente, coinvolgente, intelligente, non lo leggerò. Per lo meno non in questo momento storico.
Mi basta e avanza “viverlo”.
Poi il suo finale sarà sicuramente eclatante.
Il mio? Ci sto lavorando sodo.
E per il momento me ne resto fuori dal coro.
P.S. – La torta salata era ottima (sì, perché nel frattempo abbiamo anche cenato): pasta sfoglia, erbette miste saltate prima in padella con il burro, prosciutto crudo dolce tagliato a dadini, panna, uova, parmigiano reggiano grattugiato, sale e un pizzico di noce moscata. Tutto rigorosamente acquistato al discount (tranne il fondo di crudo).
Stamattina ho letto un interessante post di Luca Rota, “Il metodo Kilgore Trout, o come scrivere una sola storia scrivendone nel contempo tante…“.
Lì per lì non ci ho capito molto: forse perchè ancora mezza insonnolita (ma non troppo); forse perché un po’ appesantita dalla cena della sera prima (dopo gli allenamenti di tennistavolo ho una fame da scaricatore di porto e, inoltre, un bicchiere di vino non me lo nego).
Poi l’ho riletto attentamente.
Sono ore e ore che rimugino. Cosa?
Che da anni cerco il mio Kilgore Trout!!!
“Ogni scrittore dovrebbe inventare un metodo, un Kilgore Trout, che gli consenta di dare in qualche modo forma letteraria ai capolavori che non riesce a scrivere. Potrebbe essere un toccasana.”
Mi rendo conto di avere dei forti limiti in fatto di scrittura.
Una mia poesia è immediatezza allo stato puro, ispirazione ed emozioni fusi e subito gettati fuori dall’interno, riversati su di un foglio.
Quasi sempre riesco a soddisfare questa mia impellente esigenza di “espulsione” e di “concretizzazione in versi”.
Quando non mi è possibile farlo subito, cerco faticosamente di trattenere tutto dentro fino al possibile momento del parto: a volte ci riesco, a volte no.
Questo per quanto riguarda la poesia, ma per tutto il resto?
Ho una mente sempre attiva, nonostante il mio volere, ed è certo un bene.
La fantasia non mi abbandona (per fortuna!), altrimenti sarei poco creativa anche nel lavoro e non sarebbe conveniente.
Le idee non mancano, i progetti pure, anche editoriali; durante il giorno, in quel che per molti è noiosa quotidianità, anche i piccoli fatti riescono ad accendermi, producendo spunti per aforismi, racconti, romanzi…
Dovrei viaggiare con un taccuino in tasca (ce l’ho: regalo graditissimo e gelosamente custodito) e un lapis (anche questi non mi mancano: ne posseggo di tutti i tipi), perché ho riscoperto da poco il piacere graffiante della grafite sulla carta.
Annotare tutto, con quella stessa immediatezza che uso per la poesia; intrappolare le idee tra le pagine.
Facile a dirsi. E poi?
E poi mi incaglio in quello scoglio che da sempre m’impedisce di mettere in pratica e portare a termine l’opera: la mancanza di organizzazione!
Sì, perché nel lavoro, in casa, nello sport, riesco a organizzarmi e direi discretamente; ma quando si tratta di scrivere un breve o lungo romanzo mi trasformo: divento un’inetta, traccheggio, inizio e poi mollo.
C’è sicuramente una tecnica, una scuola, un metodo da seguire…
Però quanto mi farebbe comodo un Kilgore Trout tutto per me!!!
Tempo fa ho cercato pure un “compagno di penna”: in due credo ci si diverta di più e la mente si “espande”.
Un amico con il quale condividere la passione della scrittura e poter realizzare così insieme un “best seller”.
Cercavo un lui per compensare il mio lato femminile ben distinto e presente.
Ma anche in questo frangente – come nell’amore – se non c’è feeling tutto svanisce, come una bolla di sapone.
In solitario compongo le mie poesie, restando comunque un animalino da compagnia.
In fondo la vita è una storia fatta di tante storie: che sia un alter ego oppure no, incontrerò prima o poi il mio Kilgore Trout.
O no?