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Josè

Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.

Josè, a braccia conserte, si dondolava seduto sui talloni in mezzo alla stanza.
Il letto sotto la finestra con le sbarre era ancora intatto.
Una raggio di luce s’insinuava e lui l’osservava, sempre dondolandosi.
Fuori il buio era più nero della pece.
Pensava.
Pensava a come fare, a come uscire da quella gabbia in cui l’avevano rinchiuso. Ancora non ne capiva il perché. In fondo cosa aveva fatto di male?
Provare sentimenti è forse un male?
Amare una persona con tale intensità è forse un male?
La sua mente andò a Cristina, la sua bella Cristina.
Dicevano che Cristina non sarebbe più tornata, che le era successa una cosa terribile, inenarrabile, e che lui ne era il colpevole. Ma José sapeva che Cristina mai l’avrebbe abbandonato.
Sorrise al raggio di luce, poi con un movimento lento e calcolato piegò la testa da un lato facendosi scrocchiare il collo.
Nel mentre la riportava a posto, scorse un piccolo ragno venirgli incontro lungo la scia di luce disegnata sul pavimento.
Che bella la natura… Che grande mistero la vita, con le sue molteplici forme: José ne era affascinato.
Il ragnetto, di colore grigio-marroncino, procedeva a velocità sostenuta sulle lunghe ed esili zampette. A circa mezzo metro da José si fermò.
José si chiese cosa ci facesse lì, lontano dalla propria ragnatela; sicuramente apparteneva a una specie innocua.
Allungando il braccio destro lo prese con sicurezza tra il pollice e l’indice e lo avvicinò agli occhi per osservarlo meglio: il ragno si dimenava ogni tanto, come se sapesse che non sarebbe scappato facilmente da quella morsa.
Il corpo era davvero piccolo in confronto al resto: nella semioscurità José non riusciva a scorgere nemmeno le zanne.
Come è la vita di un ragno? si chiese.
Non potendo esaudire questa curiosità se lo mise in bocca, senza ripensamenti: troppo piccolo per assaporarlo.
Però un sottile piacere lo invase tutto nel momento in cui lo deglutì, tanto che chiuse gli occhi e il pensiero tornò a Cristina, al profumo della sua pelle, alla morbidezza dei suoi fianchi, al suo sapore.
José riprese a dondolarsi, questa volta accarezzandosi le labbra e il viso. Poi improvvisamente i suoi occhi si sgranarono, le mani strinsero nervosamente e con impeto il collo, come assalito da un’atroce paura.
Cosa ci faccio qua? Perché non mi fanno uscire?
Devo scappare!
Non ho fatto niente di male…

29 marzo 2015

Josè © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 7

Cicogna a Narva

Il volo

L’angelo ha aperto le ali
e si è già lanciato dall’infinito del cielo.
Non vi è urlo che l’accompagna,
solo il silenzioso taglio dell’aria.

Sarà la sua caduta
a ricondurlo tra i mortali,
con il suo sogno imprigionato
sempre e comunque tra le ali…

Capitolo VII

Gioele era in cucina, stava preparando una zuppetta di pesce, in piena eccitazione e gaiezza, al ritmo della musica dei PFM.
Aveva scelto ben due vini bianchi, uno per l’antipasto e l’altro per il primo piatto.
Quando era così creativo, tra i fornelli, i motivi potevano essere o tanto sesso o tanti soldi.
Martina lo lasciò stare: il suo compito sarebbe stato quello di gustarsi la cena e poi ripulire la cucina il giorno dopo. Così decise, nel frattempo, di sistemare le sue scarpe all’interno della cabina armadio della loro camera da letto.
È incredibile come la polvere s’insinui ovunque col tempo… raffiora sempre, è invadente come un pensiero malsano che logora l’animo.
Strusciò il dito indice destro su una scatola azzurra che sembrava pulita: il colore roseo del polpastrello divenne di un grigio quasi avorio, patinato.
Osservando attentamente vi potè scorgere dei granelli di chissà quale materia.
Prese il panno e, con calma certosina, cominciò a togliere una ad una, da destra a sinistra della fila, le scatole; a spolverarle esternamente, controllarne l’interno, posizionarle poi al centro della stanza.
Fatto questo, decise di proseguire con la fila delle scarpe di Gioele, ben più breve della sua. Ma, si sa, le donne hanno un debole per questo accessorio!
Arrivata quasi in fondo, tra le ultime due scatole vi scorse una busta incastrata: era palesemente scivolata da chissà dove, forse da una tasca di una delle giacche di Giole appese proprio sopra.
La prese: era con l’intestazione di un’associazione Humanitas. Gioele lasciava sbadatamente molte cose a giro: fatture, ricette, contratti…
Stava per riporla sul comodino quando l’istinto le disse: «Sembra vuota. Controlla. Forse è solo una busta da buttare.»
Non era sigillata: l’aprì.
Per un lungo attimo il respiro si fermò: vi era all’interno una breve lettera scritta di pungo da Giole e datata il giorno prima.
Un forte calore la invase ovunque; iniziò a sudare freddo; stava per collassare, lo sentiva; la testa le girava.
Mano a mano che continuava a leggere, la situazione peggiorava: arrivò in fondo per poi abbandonarsi seduta al bordo del letto con la lettera in grembo.
Fece dei forti respiri; si asciugò la fronte e poi attese: attese la calma.
Una volta ripresasi, rilesse quelle parole: una, due, tre volte.

28 luglio 2006

Ciao Fla…
nel mio inseguimento a destra credo che ci siano molte risposte alle tue perplessità.
Sono convinto che te lo sei goduto quasi del tutto (sai eri appena scesa e non avevi fatto rilassamento, perciò avrai perso alcuni attimi).
Ma ti sei subito ripresa, o meglio: ripersa in un abbraccio.
Ah, piccolo animalino scontento dello strapotere cerebrale delle nostre convizioni.
Ah, oggetti del desiderio sublimati in contorsioni al forno di una macchia di mezza estate.
Ah, quanto siamo succubi del nostro cervello!
Ma sembra divertente asservire in corpo ai desideri della mente, o meglio giocare con la mente per trasformare in accettabili senzazioni che altrimenti travolgono: oh, come è divertente, oh, come è divertente!
Ma a parte le peregrinazioni del momento, stasera ho sentito una Fla bellissima.
Non vado oltre, poiché il peso dell’assenza in questi casi è più opprimente.
Grazie per le scoperte che mi stai facendo fare come un fanciullo ghermito dalle tue muscolose (sensuali) gambe e portato in verpraterie di piacere.
Grazie.
L’abbraccio che ti mando è torrido, possente e con enorme bisogno di ripetizioni multiple.
Dice il saggio: il sesso non è tutto nella vita, ma aiuta a vivere meglio!
O era il denaro quello?!?

Se si scrive che è stato bello è banale; se si riempie di avverbi di esaltazione si eccede; se lo si ignora lo si sminuisce.
Ma un sano silenzio godereccio delle sensazioni avute è una buona reazione a due ore come le nostre.

Gioele

Un vuoto, un incolmabile vuoto si prese possesso di Martina.
Che fare adesso? Che dire? E dove andare?
Un mondo, un progetto di vita… frantumati in un attimo.
Che fare?

* * *

Ahi, ahi, Gioele…
Ma che ti è preso?!?
Perché ieri non hai consegnato a Fla quella maledetta lettera?
Non mi dire che…
Ma, insomma! Te la sei goduta, spassata; due ore di follia pura e – a causa di una missiva, sfogo del tuo ego maschile, distrattamente lasciata incustodita – ti fai scoprire così?
Rimorsi di coscienza verso Martina?!?
No, non va bene. Non ti riconosco più.
Come fai adesso a negare?
Comunque nega, nega sempre, anche l’evidenza, dato che ci tieni tanto.
Martina ti ama troppo e ti perdonerà.
Sei la sua vita.
E tu, purtroppo, hai bisogno di Martina più di quel che pensi o sostieni.

* * *

– Mamma, che fai?

– Sto sistemando le scarpe nella cabina armadio.

– La cena è pronta: Gioele ha già servito l’antipasto. Ha detto che deve fare un annuncio importante e vorrebbe ti sistemassi per l’occasione.

– Davvero?

– «Dille di mettersi il tubino blu con la collana di perle.»

– Ah, va bene. Datemi cinque minuti e arrivo. Anch’io devo fare un annuncio importante.

15 aprile 2014

La felicità di Martina – Capitolo 7 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 6

E se la vita fosse un sogno?
Allora è un incubo. Solo un incubo…

Capitolo VI

Il video illuminava la stanza… qualcosa la fece sussultare.
Fu come risvegliarsi, uscire da un lungo sogno.
Prese così coscienza dei ricordi raffiorati; talmente vividi e consistenti da inebriare, o far sprofondare nel dolore.
Ma erano solo ricordi.
Un ultimo Natale, quello rammentato, che ben poco aveva il sentore della rinascita.
Adesso, che le era stato diagnosticato un tumore di grado 3 al seno, Martina per un attimo si rivide bambina; subito dopo adulta e responsabile.
Responsabile di una decisione importante: quella di lasciarsi andare.
La stessa che decise di prendere tanto tempo fa per sua madre, il suo unico e vero sostegno; di lasciarla librare nell’infinito, che il tempo era terminato come forse a breve sarebbe terminato il suo.
Una decisione presa in un attimo, da sola, senza ripensamenti.
Un preannucio, una prerogativa, a quel che sarebbe stato il resto della sua vita.

Ripensò a quell’ultimo Natale: i successivisi si mischiarono a pura sofferenza e solitudine.
Martina si ritrovò sempre più sola.
Purtroppo se accorse troppo tardi: dopo 5 anni dalla morte di sua madre, quando un errore – commesso solo perché cercava un po’ di compagnia e di considerazione – venne punito nel peggiore dei modi, predemitatamente, con calcolo, distruggendola definitamente.
Un’esecuzione.
Martina voleva davvero addormentarsi e lasciare il mondo per ricongiungersi con sua madre; ma due occhi di cerbiatto avevano bisogno di lei: Rebecca sapeva e non voleva perderla.
Rebecca la teneva in vita, mentre Martina aveva un gran bisogno di pace.

Continuò il lavoro intrapreso: ridurre in coriandoli tutte le poesie, gli haiku, le parole d’amore che Gioele aveva scritto per lei su tovaglioli di carta di chissà quale ristorante o birreria, su post-it dai vari colori rubati al lavoro, su cartine di cioccolatini amari…
Via. Tutte.
Cancellate dalla vista e dal cuore, mai imparate a memoria ché sarebbe stato pericoloso, rigettate.
Via le sue foto tenute vicino al computer; via i dolcini sloveni a forma di cuore che gli rammentavano gli innumerevoli viaggi fatti insieme.
Poi sarebbe stato il turno delle collane, dei gioielli; e poi dei vestiti.
Ogni cosa, ogni minima cosa che poteva riportarla a quel decennio di vita sprecato, doveva sparire.
Infine attendere: attendere l’accadere di un evento in quel nuovo stato di verginità.
Oppure reagire.

Appoggiò la mano al seno destro: le sembrò di sentirlo.
«Tu sei frutto del mio malessere…»
Reagire. Come? Avrebbe vinto lui, come aveva vinto Gioele.
Lei non era una vittima: aveva combattuto a lungo e tenacemente, come nessuna aveva mai fatto, fin quando la resa fu necessaria.
Adesso doveva riprendere a combattere una battaglia contro un nemico subdolo altrettanto.
Lo avrebbe fatto solo per Rebecca; e un po’ per se stessa, se solo non fosse stata sola a farlo.

30 marzo 2014

La felicità di Martina – Capitolo 6 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 5

Il Natale vive negli occhi dei bambini.

Capitolo V

Martina sapeva.
Sapeva che lo spirito del Natale non sarebbe stato più lo stesso, eppure ancora ci sperava.
E così avrebbe guardato dolcemente tutti quanti negli occhi, nonostante qualcuno le fosse stato ostile.
I preparativi erano stati frenetici ma calcolati, perché così desiderava Gioele.
Martina, invece, era quella del “all’ultimo minuto”: sapeva bene che quando l’abbandonava l’adrenalina la vita diventava noiosa. Forse uno dei motivi per cui aveva scelto Gioele era proprio questo: le compensava una parte mancante. O forse no… le avrebbe incasinato il resto della sua vita.
Tutto era pronto: la tavola, le decorazioni, i regali sotto l’albero di Natale, l’antipasto, il vino al fresco.
Un tocco di rossetto, il girocollo di perle ed ecco fatto.
Rachele era di là con gli altri ragazzi, i fratelli acquisiti. La sentiva parlare ad alta voce: doveva in qualche modo farsi valere, soprattutto con la primogenita di Gioele. L’altro figlio, il secondo, Serse, andava d’accordo con Rachele e, anche se un po’ schivo, si capiva che aveva un gran bisogno di coccole.
Serse… il nome importante di un re persiano. A suo tempo si era informata: significa proprio “re”.
Rachele invece “pecorella”… tutto poteva essere che una pecorella! Ma Rachele è anche la patrona delle madri che hanno perso un figlio. Martina non aveva perso un figlio, non fisicamente. Che avesse scelto quel nome perché già “sapeva”? Sapeva che non avrebbe avuto altri figli, nonostante il forte desiderio?
Eppure ancora ci sperava.
Si fece coraggio: un lungo respiro a pieni polmoni sollevarono la sua quarta di seno stretta in un corpetto argentato per poi scendere lentamente. Era pronta: si avviò verso la sala da pranzo.
I ragazzi fremevano, non tanto per la cena, quanto per i regali che attendevano sotto l’albero.
Gioele era raggiante e non si dimenticò di dare un’occhiata ammiccante di apprezzamento a Martina per il suo look quando arrivò.

– Fiuuuuuuuu! Sei uno spettacolo! Ma per i botti è presto… siamo a Natale!

Martina apprezzava questa sua spontaneità davanti ai ragazzi. Non sempre era così… un’ombra le offuscò gli occhi resi ancora più lucidi e grandi dalle lenti a contatto.

– Amore, cosa c’è? Ti senti poco bene?

– No, no… scusa. Le lenti… sai, le metto raramente. Iniziamo?

La serata proseguì tranquillamente e senza intoppi, per fortuna.
Tutti aspettavano il momento fatidico.
Quando finalmente arrivò, dopo varie lamentele per il troppo mangiare da parte dei ragazzi, un gran smuovere di sedie e grida travolsero la casa.
Partì la corsa al bottino e poi la conta di quanti fossero a testa: tutto ciò divertiva ogni volta Gioele e Martina che, mano nella mano, si gustavano la scena seduti a tavola mentre sorseggiavano un bicchierino di Marsala.

– Che dici? Andiamo a prendere anche i nostri regali?

– Perché Babbo Natale li ha portati anche a noi? – replicò ridendo Gioele.

– Quante letterine hai ricevuto?

– Quattro, ovvio.

– Ovvio? E la quarta di chi sarebbe? Eh, eh, eh…

– Che fai? La gnorri?

– Io non ne ho ricevuta nessuna…

– Aspetta! La befana arriva il 6 gennaio!

– Spiritoso…

Lo spettacolo non era finito: stavano prendendo le misure per verificare chi avesse il pacco più grande.
Martina scartò i suoi: un profumo, un ricettario, una sciarpa di seta, un paio di guanti e poi “quello”, un libriccino.
Quel libriccino sembrava uno scherzo, eppure glielo aveva regalato la sua migliore amica quando si erano incontrate a Modena due settimane prima, e aveva atteso la Vigilia.

– Dai, non fare quella faccia… noi abbiamo superato il tempo eppure è come se fosse ancora il primo giorno!

Martina lo sguardò tra due fessure taglienti.

– Prima il tuo intervento in radio, adesso questo. Qualcuno cerca di dirmi qualcosa?!?

– Sicuramente è un caso… no?

– Sicuramente.

Sicuramente Frédéric Beigbeder sapeva la sua.
Sicuramente l’amore dura tre anni, come da titolo del libro. O diciotto mesi… oppure quattro anni se sei fortunato!
Martina si promise che lo avrebbe letto. Lo sfogliò con poca curiosità.

«Insomma, non facciamola troppo complicata!
Diciamo le cose come stanno. Si ama e poi non si ama più»
Françoise Sagan

Ecco, l’inizio non prometteva niente di buono.
Che cavolo le era passato per la testa a Stefania? Perché regalarle quel libro?

* * *

È arrivato il momento di riportare i due angioletti a casa.
Sono questi gli accordi, Gioele.
Hanno trascorso una lieta e spensierata vigilia di Natale con te; si sono divertiti; i regali sono stati apprezzati.
Domani trascorreranno invece la giornata con la madre e i nonni: altro momento di gioia.
Suvvia! Non sentirti in colpa! Tra qualche giorno li rivedrai… E poi, scusa, è stata tua la decisione di separarti. Sapevi a cosa andavi incontro.
Semmai, dimmi: l’hai preso il cellulare?
Non sarebbe il caso di inviare un messaggino di auguri a “miss boccoli d’oro”?
Che ti costa?
Un minuto. Una piccola sosta prima di rientrare a casa. Poi spengi il cellulare.
Martina non saprà mai.
Ecco, sì… cerca il suo numero in rubrica.
Sotto quale nome l’hai memorizzata?
Ah, già…
Sei un genio!

28 dicembre 2013

La felicità di Martina – Capitolo 5 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 4

Quando il senso della vita ha il calore della famiglia.

Capitolo IV

«Tra poco è Natale!
Non vedo l’ora di aprire i regali!
Stasera festeggeremo con il cenone, poi andremo a messa.
Mamma dice che dobbiamo essere più buoni, perché solo così si avvereranno i desideri: lo spirito di Natale ce li porta dopo mezzanotte. Ma non tutti! Alcuni li serba per darceli dopo, per esempio quando compiamo gli anni.
Caro Babbo Natale, ti prometto che farò la brava.
Vorrei che mamma fosse sempre felice. E che papà trovi presto un lavoro nuovo.»

* * *

8/8/8, sì.
È sempre stato un ottimo equilibrio: 8 ore di lavoro o studio, 8 ore di riposo, 8 ore di svago.
Questo il ritmo.
Questo il ritmo fino a quando ha conosciuto Martina.
Poi la fine. La fine di un’epoca gloriosa. La fine della mia epoca!
Un’organizzazione perfetta: diplomato a 18 anni, laureato a 23 con un anno di vantaggio, specializzato a 26 dopo aver conseguito il servizio di leva, affermato professionalmente a 28.
A 30 acquisto i vecchi studi “Perseus”: li ristrutturo, li amplio, li organizzo e inserisco nuovi specialisti. In sei mesi vado in attivo diventando un punto di riferimento in Toscana nel settore medico.
Oh! Quanto ho lavorato bene in quegli anni. E quanto mi sono divertito!
8/8/8: 8 ore di lavoro o studio, 8 ore di riposo, 8 ore di svago e… sesso!

* * *

Ecco, l’amore è importante.
Anche il sesso è importante.
Si può amare senza sesso?
Forse… Sì.
Si può fare sesso senza amore?
Non lo so, in tanti si pongono questa domanda.
Personalmente non ci riesco: ho bisogno di un grande coinvolgimento emotivo per poter fare del “grande” sesso!
Ci ho provato in passato, certo.
Quando? Poco dopo la separazione dal mio ex marito: sembravo una ventenne in pieno rimescolamento ormonale ma con l’esperienza di una trentenne! Sono arrivata ad avere anche quattro amanti contemporaneamente: un lavoro, sa. Un impegno costante, una fatica…
Nonostante la bambina piccola, riuscivo a organizzarmi senza farle mancare niente e lavoravo proficuamente 6/8 ore al giorno.
È durata poco.
Mi sentivo vuota.
Mi mancava il calore di una famiglia.
Poi ho conosciuto Gioele.
Ah, due mesi di corteggiamento reciproco bellissimi! Due mesi dolcissimi, ma anche intriganti, erotici, finché non abbiamo fatto l’amore.
La prima volta è stato di una passionalità quasi animalesca. La seconda volta un’incontrollabile tempesta di desiderio. La terza… via via un crescendo in complicità e intesa.
Insomma, facevamo l’amore ogni giorno. Ovunque, comunque, appena possibile!
Se non l’avessi amato come lo amo così intensamente ancora oggi, non avrei mai potuto: ho sempre desiderato Gioele per amore.
Il fatto è che Gioele non può stare per più di tre giorni senza rapporti sessuali e questo è un problema, grande!
Perché?!?
Perché si chiude in se stesso, mi evita, mentre si apre con le altre. Incomincia a corteggiarle…
Non so se lo fa volontariamente.
Non ho idea fin dove si spinge.
Questo suo comportamento è iniziato circa sei mesi dopo il nostro incontro. Così, nel tempo, giorno dopo giorno, mesi dopo mesi, sono arrivata a farmi logorare dalla gelosia.
Eppure mi ama. Lo sento! Lo dimostra, davvero! Soprattutto quando tra noi tutto scorre serenamente.
Non è la prima volta che gliene parlo, vero?
Lei mi ha sempre detto che di un uomo si amano anche i difetti… e che Gioele è il più debole nella coppia… e che ha sempre avuto un rapporto conflittuale con le donne, forse a causa della sua infanzia… e che è orgoglioso… e che…
Dottore, per due settimane non potrò avere rapporti sessuali. Come faccio a dirlo a Gioele? Come reagirà? E soprattutto: lui resisterà? Capirà?
Dovrei darmi pace?
Dottore… Cosa devo fare?
Essere io quella comprensiva?!?
Perché, vede, sono sei anni che “spero”.
Ho quarant’anni ormai…
Dottore, smettere di desiderare mi farà star meglio?

24 dicembre 2008

La felicità di Martina – Capitolo 4 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 3

Quando il senso d’infinito assume fattezze di femmina.

Capitolo III

In casa trovarono un grande silenzio: all’una di notte tutto taceva e si percepiva l’assenza di altre anime.
L’allegria alcolica li avvolgeva entrambi.
Si diressero decisi in salotto e lei, senza nemmeno togliersi il cappotto, proseguì verso lo stereo. Sinuosamente si allungò ai cd esposti e ne scelse uno: Secret love di Sting.
Poco dopo risuonarono, dolcemente diffuse nella stanza, le note di Inside.
I suoi occhi brillavano nella penombra.
Gioele si tolse il giaccone e, col sorriso sulle labbra, si sedette sul divano in attesa che accadesse qualcosa.
E quel qualcosa accadde, mano a mano che la musica cresceva. Si accese un ritmo leggero.
Due fianchi iniziarono a ondeggiare con la padronanza di una ballerina orientale.
Le mani disegnavano arabeschi virtuosi in trasparenza nell’aria.
Il ritmo aumentava. Anche il battito di Gioele. Avrebbe voluto toccarla, ma lei ogni volta che si avvicinava sfuggiva con mossa di gatta.
Martina si accarezzò lungo i fianchi sollevando leggermente il cappotto. Ad uno ad uno sganciò i bottoni, aprendosi come un fiore e richiudendosi poi stretta intorno la vita, che sembrava ora sottilissima: Gioele rivide finalmente la generosa scollatura.
Sempre ballando, si girò inarcando la schiena e flesse verso di lui il sensuale fondoschiena.
Gioele attendeva… attendeva che sollevasse tutto, ma si faceva desiderare.
I tacchi a spillo sorreggevano due lunghe gambe snelle e morbide.
La riga della calza disegnava perfettamente la salita al piacere che Gioele si pregustava. Il ritmo cresceva. Un solo gesto: si ritrovò improvvisamente un perizoma di pizzo nero sul viso dal profumo inconfondibile, quello del sesso.
Gioele credeva di scoppiare; dovette slacciarsi la cintura e aprire i pantaloni. Lei sembrava una sirena irraggiungibile. Il suo canto lo stava facendo impazzire e la sua danza morire di desiderio.
Finalmente Martina mostrò le autoreggenti: una sottile striscia di carne candida tra l’elastico e la gonna sollevata innescarono una tempesta di ormoni ora impazziti.
Il ritmo stava raggiungendo il culmine. Tutto ondeggiava freneticamente.
All’improvviso se la ritrovò seduta su di lui con i seni scoperti sul viso.
Lei lo afferrò al collo baciandolo in bocca avidamente: miele, sapeva di miele!
Si accorse che il ritmo adesso era all’unisono con quello di lei.
Che spettacolo: i capezzoli turgidi, il sesso bruciante come il fuoco.
Quando quella meravigliosa creatura cominciò a miagolare e mugolare di piacere, Gioele dovette lasciarsi andare: la supplicò di non smettere.
E così, in un groviglio di battiti di corpi, sul finire di Inside raggiunsero insieme l’apice.
I respiri, ancora ansimanti, ruppero il silenzio dello stacco prima che incominciasse il brano seguente, Send your love.
Le due bocche ancora si sfioravano.
Gioele, deglutendo e senza fiato, trovò il coraggio di dirle:

– Promettimi che tra vent’anni, quando ne avrai sessanta, ballerai ancora così… per me. Ti amo, Martina.

* * *

Sì, non c’è altro da aggiungere.
Eh, già…
No, tutto ok.
Davvero! Tutto ok.
È solo che…
Cavolo, Martina a volte sa essere così…
trasgressiva!
Mi spiazza: che devo fare? Che devo dire?
Insomma! Gioele ci prova con molte altre! Mai che concluda!
Arriva al punto che lo desiderano e lui: sbam! Gli chiude la porta in faccia!
Mai una carezza!
Mai un bacio!
Niente!
Tante parole, tante risate, tanti sguardi maliziosi e sbam!!!
Non lo capisco, io che sono il suo alter ego non lo capisco.
È un bel cinquantenne, intelligente, pieno di cultura, dal passato glorioso, una forza della natura, ed ora si riduce così: monogamo!
Devo essere più presente, più costante, il suo pensiero fisso.
Devo approfittarne quando Martina è debole.

* * *

– Signora, dato il suo stato le consiglio di non avere rapporti con suo marito per un paio di settimane. Non è niente di grave: solo precauzione.

– Ma due settimane?

– Sì. Faccia la cura che le ho prescritto e vedrà che tutto si rimetterà a posto. Non è niente di grave, mi creda.

– Grazie. Tra una settimana le farò sapere come procede.

– Certo. Venga pure in ambulatorio senza appuntamento: Marzia la farà passare tra un paziente e l’altro.

– Grazie ancora, grazie (e ora? come faccio a dirlo a Gioele?)

18 dicembre 2008

La felicità di Martina – Capitolo 3 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 2

Perché è sempre una questione di “alchimia”.

Capitolo II

«La mamma quando è felice ride e sembra una fata!
A volte però è triste, l’ho vista piangere.
Non è colpa mia, no. Anche quando mi sgrida… vuol dire che è nervosa, perché Gioele la fa arrabbiare.
Mamma e Gioele dicono di essere marito e moglie, ma ancora non lo sono.
Spero che un giorno si sposino, così io mi vestirò da piccola dama per dare gli anelli alla mamma e a Gioele, come ha fatto tanto tempo fa la mia cuginetta Ginevra.
Prego sempre Gesù che accada. Mamma vuole tanto bene a Gioele.
Così forse arriverà anche un fratellino! Uno vero!
Lo chiederò a Babbo Natale. Evviva!»

* * *

– Dottor Irace, ci spieghi meglio cosa accade quando c’innamoriamo

– Ci droghiamo.

– In che senso, dottor Irace?

– Entra in azione la feniletilamina (PEA), costantemente prodotta dal nostro organismo, che in elevate concentrazioni induce gli stessi effetti delle amfetamine. Causa il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore molto noto, la cui attività è strettamente legata ad una rete di neuroni che genera sensazioni piacevoli in seguito a comportamenti che soddisfano stimoli come la fame, la sete, il desiderio sessuale.

– Quindi?

– Quindi, secondo la teoria dell’apprendimento, nel sistema nervoso rimane impresso il ricordo di un’esperienza positiva. E nel caso dell’innamoramento è l’associazione tra “incontro” e “piacere” che spinge a ripetere lo stimolo che l’ha determinata, cioè entrare nuovamente in contatto con la persona che ha generato l’iniziale rilascio di feniletilamina.

– Interessante, dottor Irace

– Ma non è tutto! Pensi che in seguito a tutto ciò si aggiunge una generale agitazione determinata dalla noradrenalina, molecola diffusa soprattutto nell’ippotalmo e nel sistema limbico. Come neurotrasmettitore provoca eccitazione, euforia ed entusiasmo; riduce l’appetito (mangiare sottrae tempo per stare con la persona amata); infine promuove la contrazione delle vene degli organi sessuali. Come ormone regola la produzione di adrenalina e nell’esperienza amorosa ne induce il rilascio con conseguente aumento del battito cardiaco, della respirazione e della pressione sanguigna, da cui ha origine il rossore del viso.

– Insomma, il corpo genera un cocktail chimico che ci mantiene innamorati?

– Esattamente, è una questione chimica.

– Dottor Irace, quanto dura questa fase?

– Purtroppo niente dura in eterno. Gli studi limitano il periodo di innamoramento a 18 mesi fino a un massimo di quattro anni. Questo perché il nostro cervello si assuefà, come ad una droga, all’effetto delle “molecole dell’amore”. A questo punto questa fase si trasforma in quella che gli antropologi definiscono di “attaccamento”. A livello del sistema nervoso, si assiste alla produzione di endorfine, una classe di molecole simili per struttura alla morfina, che hanno effetto calmante, rilassante. La componente emotiva dell’innamoramento è legata anche a un altro ormone, l’ossitocina. Viene anche chiamato “ormone dell’amore” in quanto promuove il comportamento materno. Questo ruolo agisce anche nell’ambito della coppia rafforzando l’attaccamento emotivo e potenziando meccanismi della memoria che fissano ricordi emotivi.

– Dottore, ma tutto ciò non è molto romantico

– Non siamo nati per essere felici, ma per riprodurci… l’attrazione sessuale, l’amore romantico e l’attaccamento a lungo termine possono esistere contemporaneamente anche in modo indipendente l’uno dall’altro. Si può avere un forte attaccamento verso una persona e provare amore romantico nei confronti di un’altra, ed essere attratti sessualmente verso una terza. Questi tre sistemi cerebrali sono stati sviluppati da noi esseri umani nel corso dell’evoluzione esclusivamente per consentire la riproduzione. Ma le assicuro che ognuno di noi s’innamora almeno tre o quattro volte, se non di più, nella propria vita.

– È molto interessante ascoltarla, ma purtroppo il nostro tempo a disposizione sta per scadere. Che argomento ci proporrà la prossima settimana, dottor Irace?

– Parlerò delle differenze tra maschi e femmine, di geni, di monogamia e adulterio

– Avremo sicuramente l’intervento di qualche ascoltatore!

– Speriamo.

– Dottore, una domanda indiscreta: lei è sposato?

– Sì. Da cinque anni.

– È ancora innamorato?

– Le domande adesso sono diventate due! Sì, certo. Amo mia moglie come il primo giorno, anzi, di più! È una donna fantastica, capace di attivarmi tutti e tre i tipi di sistemi cerebrali. Colgo l’occasione per salutarla.

– Bene! Salutiamo il dottor Gioele Irace, neurologo e psicoterapeuta, dandogli appuntamento alla prossima settimana: stessa ora, stessa frequenza d’onda. Grazie

* * *

Ahi, ahi, ahi! Caro Gioele
La tua è sacrosanta verità: sei ancora innamorato di Martina, ma
Ma ora che è finita la trasmissione radiofonica la deliziosa giornalista “miss boccoli d’oro” ti sorriderà con sguardo malizioso e tu ne approfitterai, non è vero?
Lo sai quanto ti piace il brivido della “cattura”: come ai vecchi tempi!
È come praticare la pesca a mosca: abboccano sempre se gli proponi un’ottima esca e ben costruita.
Una forma d’arte che va oltre la semplice cattura di un pesce da esibire agli amici.
Una pesca “ecologica”, praticata nel rispetto dell’ambiente e dei suoi abitanti.
Unica regola: rilasciare sempre il
pesce che si cattura, qualunque sia la taglia, soprattutto se il suo prelievo reca danno significativo all’ecosistema.
E dai! Lo sai Ti piace ammaliare. Ti piace corteggiare. Ti piace essere corteggiato!
Nessuno verrà a saperlo: la cosa finirà presto, tra qualche settimana, quando non dovrai più partecipare a questo stupido programma.
Su, proponiti ringraziala invitala!

* * *

– Signorina, è stato un piacere l’intervista. Se può dedicarmi dieci minuti del suo tempo, le offrirei volentieri un caffè, così le sviluppo l’argomento della prossima settimana.

– È molto carino da parte sua, dottor “Irace”.

– Mi chiami pure Gioele. Il mio è un bel cognome, molto antico, significa “rapace”, ma preferisco essere chiamato per nom mi scusi! Il cellulare. Amore!

– Sì, ero molto emozionato

– Hai ascoltato tutto, sì non devi ringraziarmi

– Una sorpresa?

– Andiamo a festeggiare?

– Ora? Sì, scendo stavo raccogliendo le mie cose Ti amo.

– Arrivo. Ciao, ciao. Mi scusi, mia moglie Purtroppo devo andare: Martina mi ha fatto una bella sorpresa! Vuole festeggiare la mia prima filodiffusione con un aperitivo. Allora, arrivederci alla prossima settimana.

* * *

Cavolo!
Che sfiga, Gioele!
Ma non può sempre andare in questo modo!
Hai il suo numero di cellulare, vero?
Te lo aveva lasciato tempo fa per poterle comunicare la tua disponibilità nel giorno di trasmissione, vero?
Vero, Gioele?!?
Cavolo, Martina è sempre così è sempre così premurosa. È sempre così presente!
È sempre così
innamorata!!!

* * *

Dottore… smettere di desiderare mi farà star meglio?

15 dicembre 2008

La felicità di Martina – Capitolo 2 © Paula Becattini


La felicità di Martina – Capitolo 1

Dedicato a coloro che, nonostante tutto, credono ancora nell’amore e nella coppia.

Capitolo I

Alle 7 meno 20 di ogni mattina suonava la sveglia di Martina.
Martina la spengeva e, immancabilmente, dopo nove minuti questa risuonava.
Allora, bofonchiando, la staccava definitivamente e poi con tutto il corpo cercava il calore del marito.
Lui, tirandola a sé, l’abbracciava regalandole un tenero bacio.
Martina a questo punto mugolava: «Dobbiamo alzarci: sono le sette…»
Completamente nuda, scivolava fuori dal letto e si dirigeva in bagno. Ogni mattina.
Ogni mattina Martina si lavava, si vestiva, tornava in camera e solleticava il marito ancora a letto, sussurrandogli: «Sono le sette e un quarto…» Poi si dirigeva verso la cameretta della sua bambina. Ogni mattina.
Se non era già sveglia, la stropicciava affettuosamente canticchiandole in un orecchio: «Bonjour, bonjour… mon amour!». Se la trovava immersa nella lettura, la scuoteva ridendo: «Forza! È ora di alzarsi!»
Ogni mattina, Martina andava in cucina e sistemava le poche cose rimaste in sospeso dalla sera prima; apparecchiava la tavola, preparava la colazione e la merenda alla piccola. Qualche volta predisponeva anche la lavatrice da avviare poco prima di uscire.
Alle 7 e 30 Martina poteva godersi finalmente il caffè con la famiglia, raccontando con vivacità ciò che le passava per la testa, già in pieno fermento. Quando il marito si alzava da tavola per andare al lavoro, Martina incominciava a sparecchiare, esortando la bimba a lavarsi i denti e pettinarsi.
Martina raccoglieva le cose necessarie, dava un occhio alla cartella della piccola; il marito l’abbracciava, la baciava e le ricordava: «Vado. Pensami…» Con un giro di tacco usciva, chiudendo la porta. Ogni mattina.
Qualche volta Martina restava lì alcuni secondi ad osservare quella porta, come incantata. Finché scuotendosi gridava: «Sono le 8 meno 10: andiamo!»
Frettolosamente rassettava le ultime cose in cucina e poi tornava in bagno a finire il trucco. Ogni mattina.
Ogni mattina, Martina si metteva il cappotto, controllava le luci, prendeva le chiavi, sorrideva alla sua bambina e usciva con lei in macchina per accompagnarla a scuola. Ogni mattina.
Ogni mattina, Martina, alle 8 e 20, sola con se stessa, s’immetteva in autostrada per andare al lavoro e poco dopo incominciava a vagare con la mente: organizzava, progettava, creava, ascoltando musica in quell’ora di viaggio… ogni mattina.

* * *

Non è vero.
Eh no, non è vero!
Mica tutte le mattine…
Il sabato e la domenica no.
Non si può dire che sia una vita monotona, la sua.
In fondo il resto della giornata lo passa al lavoro… e tutti ben sanno quanto sia creativo il lavoro di Martina!
Ops… perdonatemi: non mi sono presentato.
Mi chiamo… ma che importa come mi chiamo!
Non vi pare che sia una presenza vivace, “diversa”?
Sì, diversa… Diversa dalla voce narrante precedente: noiosa.
In realtà sono l’alter ego di Gioele, o la sua coscienza “sporca”.
Chi è Gioele? Il marito di Martina, ovvio.
E Martina è… Martina è “la” donna.
Non una donna qualsiasi.
È “la” donna per la quale si cambia vita.
Se voglio.

* * *

Ho scoperto di avere troppi sensi di colpa.
Sì, troppi sensi di colpa rispetto agli altri.
Inizio a sentirmi diversa.
Il fatto è che oggi giorno un comportamento esagerato non è più “peccato”.
Sembra che tutti quanti si siano liberati dal senso di colpa e che abbiano di conseguenza meno responsabilità: nella coppia, in famiglia, nel lavoro… anche nell’amicizia! Preferiscono trascorrere ore ed ore su un social network a conversare con un video pur di evitare certi “contatti” che potrebbero diventare troppo impegnativi.
Ma l’eccesso non genera sofferenza? E malattia?!?
È giusto tentare di riempire dei “vuoti” che mai si colmeranno senza porre limiti?
Dottore… è giusto che io desideri quella cosa che mai potrò avere?
Mi sento diversa perché in certi momenti vengo pervasa dai sensi di colpa. E non dovrei! Perché io sì e gli altri no?
Perché mi fido delle persone?
Perché imbastisco forti legami che poi nel tempo si rivelano destabilizzanti?
E perché, nonostante ciò, insisto, rendo fiducia e di nuovo costruisco?
È un loop.
Dottore… penso che sia tutta colpa mia.
Amo molto Gioele, ma ho smesso di credergli: lui è così e non cambierà mai; resiste tre o quattro mesi, poi ci ricasca, anche quando promette di non farlo più.
Ed io, che sono romantica, devo purtroppo smettere di desiderare ciò che mai potrò avere: l’esclusività.
Ricercare piacere è semplicemente umano, ma Gioele cerca di riempire all’eccesso vuoti che non gli ho mai provocato, che ha dentro di sé da sempre.
Nonostante sappia bene di essere la sua donna, l’unica, non me ne faccio una ragione. Gioele non si rende conto della sofferenza che mi provoca; mentre lui, senza sensi di colpa, ricade ciclicamente in quelle trasgressioni che lo fanno sentire “vivo”.
Dottore… smettere di desiderare mi farà star meglio?

14 dicembre 2008

La felicità di Martina – Capitolo 1 © Paula Becattini


La felicità di Martina – La genesi

Tra linee e piani paralleli (Napoli, 2008)

Tanto tempo fa, nel lontano novembre 2008, iniziai a scrivere un racconto lungo e accadde quel che di solito accade quando mi approccio a una forma letteraria di ben più strutturata della poesia: lo abbandonai poco tempo dopo.
È rimasto lì, potrei dire chiuso dentro un cassetto per anni, in realtà in un misero e freddo file: una manciata di bit silenziosi e insignificanti.
Poche cartelle, che però ancora mi stuzzicano, ogni tanto fanno capolino tra i ricordi, solleticando il mio desiderio di rimettermi a scrivere.
Così ho deciso.
I numeri mi sembrano buoni: sono passati 5 anni e si avvicina il 25 dicembre.
Mi sto autocostringendo a delle ferie forzate causa problemini di salute vari. Niente di che, per carità: pezzi di me hanno deciso di abbandonarmi ed è arrivato il momento che accetti il fatto che anch’io invecchio e che necessito di qualcosa di più di una revisione ogni quattro anni, una ristrutturazione completa.
Poi è arrivato il momento di esorcizzare alcune esperienze mie di vita passata, con un pizzico di ironia. Non so se ci riuscirò, ci provo.
Quindi comprendetemi: lo stile di questa “opera” non sarà eccelso, probabilmente a tratti noioso, se non banale e patetico, in alcuni punti caotico, in altri forse ridicolo; la trama scontata, anche se la vita e le esperienze di ognuno di noi non lo sono mai.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali sarà puramente casuale; alcuni luoghi o ambienti citati frutto di pura fantasia.
Sono però consapevole del fatto che ogni singola parola di questo racconto potrà essere usata contro di me. Ma sapete cosa vi dico? KSNF.
Cercherò, nel limite del possibile e festività permettendo, di pubblicare un breve capitolo ogni due giorni: se non lo faccio infamatemi pure!
Se non vi piace, non siete costretti a leggerlo.
Sono sicura che scriverlo mi sarà di aiuto perché ho tante cose in sospeso, e iniziare da questa, portandola a termine, mi darà ancor più fiducia a sistemare tutte le altre.
Si dice che una persona forte sa come mantenere in ordine la sua vita.

I primi capitoli furono pubblicati a suo tempo su Altramusa, piccolo salotto letterario virtuale oramai chiuso e il database cancellato.
Insomma… La felicità di Martina: l’ennesima Araba fenice!

13 dicembre 2013

La felicità di Martina – La genesi © Paula Becattini


Vivace – Adagio sostenuto – Vivace

Ogni volta faceva la grande scalinata di corsa, i gradini a due a due in modo che la gonna si sollevasse. Arrivata in cima, ansimando un poco, apriva la porta a vetri con fare deciso ed entrava a passi lunghi ma adagio, facendo dondolare i fianchi; al volontario di turno al bancone ammiccava un sorriso deciso, sussurrando un “Ciao” prolungato. Direzione: sezione letteratura erotica. Con fare attento sceglieva il libro, non prima di averne delicatamente accarezzato la copertina e annusato le sue pagine. Poi, sempre con andatura sensuale, tornava indietro, lo consegnava al volontario per la registrazione e chiedeva dolcemente: “Quando ti ritrovo qui? Una volta letto mi piacerebbe raccontartelo…”. E lui, senza staccare lo sguardo dal titolo: “S-sììì… domani?”

2 marzo 2013

Vivace – Adagio sostenuto – Vivace © Paula Becattini

Microracconti segretiDa una parola a un massimo di dieci righe
Piccole novelle – a tema libero – per far sorridere, per dare piacere a chi le scrive e a chi le legge.


Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi?

La mia racchetta da tennitavolo

«Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi?»
– Per darci il libero arbitrio di chiuderle oppure no, penso… non lo so. –
«Ma possiamo chiuderle anche senza chiavi; e alla stessa maniera possiamo decidere di aprirle, non trovi? Non è libero arbitrio anche questo?»
– Sì, penso di sì. Ma perché mi chiedi ciò? Sono forse la persona meno adatta: non credo più in Dio. –
«Tu sei ancora una donna di fede.»
– Sono una donna infedele, vorrai dire. Ho tradito il mio Dio e chi mi voleva bene. –
«Sei stata tradita: è ben diverso.»
– Come vuoi. Fatto sta che non credo più in Dio, tanto meno negli uomini. E l’amore è un’utopia: mi sono stancata di lottare contro i mulini a vento. La croce non fa per me, nonostante ne abbia ancora di pesanti da portare. –
«Non ti sei rassegnata.»
– Eh? Ahahah! Ma che stai dicendo? Vaneggi… –
E un sorriso le si abbozzò sul viso, subito dopo oscurato come da un’ombra. Gli occhi diventarono improvvisamente tristi.
«Non ti sei rassegnata…» le sussurrò, sollevandogli il capo che nel frattempo si era reclinato da un lato, come in attesa di un bacio dolce sul collo. «Ci credi ancora all’amore, altrimenti non si spiega il perché ne dai a piene mani e senza chiedere niente in cambio, tu che hai bisogno di essere amata più di ogni altra persona su questa terra.»
– Non ho bisogno di niente… – disse tra i denti, scostando bruscamente il mento. – Ci prepariamo? –
«Abbiamo tempo ancora. E poi non mi hai risposto sinceramente.»
– A cosa? Alla domanda su Dio e le sue porte con le chiavi? –
«Già…»
– Ma tu cosa credi siamo venute a fare qua? Una catechesi oppure a salvare il salvabile? –
«Chissà! Forse entrambe le cose.»
– Ok… Ok! Ok! Dio non ha fatto le porte senza chiavi perché sapeva che l’uomo le avrebbe comunque inventate! E chiamale chiavi, chiavistelli o lucchetti, sempre la stessa cosa sono! Una chiusura, un limite, che separa lo spazio degli uomini da quello di Dio. Invece, l’unica porta senza chiave è Gesù Cristo: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato”. Dio non ha fatto le porte senza chiavi, perché di porta, ovvero “la Porta” senza chiave, ce n’è una sola! Comprendi? E poi noi, esseri umani che crediamo sempre di avere accesso a tutto, siamo i primi a porre limiti. –
«E tu?»
– E io? –
«Quanti limiti ti sei posta? Quanti chiavistelli ci sono alla tua porta?»
– Sono sempre io. –
«Oh, no: non puoi dirmi questo. Ti sei murata dentro.»
– Sono sempre io: nessun muro, nessuna porta chiusa a chiave. –
«Dal di fuori sembra così, ma chi ti “sente” comprende che ti sei chiusa dentro. Esisterà pure una chiave per penetrarti!»
– Ascoltami: andiamo? Tra poco dobbiamo dare il meglio di noi stesse e non mi stai aiutando affatto. Ci conosciamo ormai da tre anni; non sono giovane come te: ho bisogno di concentrazione e calma interiore. –
«Sì, ci conosciamo da tre anni e tu ancora non hai capito niente! Cavolo! Dove è la chiave per riaprire il tuo cuore ed entrarvi? Eh?!? Dove è?»
– Non c’è: me l’hanno rubata e mai più riconsegnata. Mi dispiace. Ora possiamo andare? Ho bisogno di sfogarmi. –
«Va bene. Però, prima, volevo dirti una cosa.»
– Zitta! Per favore, non aggiungere altro… Lo so cosa vuoi dirmi, lo so. Lo so da molto tempo. –
«E allora?»
– Allora andiamo. Vinciamo! E poi sfesteggiamo. –
«Tu sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita: non voglio perderti.»
– Anche tu sei una bella persona. Ho avuto tribolazioni varie. Il dolore è passato. Forse ora è giunto il momento di perdonarmi; tornare ad avere come tetto della mia casa il cielo; e la penna e la racchetta come estensioni non del braccio ma della mia anima. Riaprire porte e finestre per far entrare la luce e far fuoriuscire le emozioni, come scambio naturale di acque tra due mari. E poter dire “Ti amo” con il cuore, non con la ragione. Tornare a sognare… –
«Tornare a sognare…» ripetè piano la compagna di squadra. «Sogniamo e lavoriamo per questa vittoria: me lo hai insegnato tu che smettere di lottare è da vigliacche.»
Le porse la custodia con la racchetta.
Nel prenderla carezzevolmente vi sentì tutta l’audacia che a suo tempo vi aveva affidato.
Decise che oggi avrebbe aperto lei in partita prima degli avversari.
E ricambiò il gesto con un ampio sorriso.

1 marzo 2013

Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi? © Paula Becattini


La magia

Alghe di lago in superficie

La magia del lago era finita.
E, insieme alla passione, se n’era andato anche l’amore.
Si era smarrito, forse accecato dall’orgoglio, lasciando che l’indifferenza ne prendesse il suo posto.
La magia del lago era finita e quella donna, quella bellissima donna che gli stava accanto da oltre cinque anni, era adesso una fastidiosa estranea, poco piacevole.
Seppur molto più giovane, notava in lei con incredula sorpresa le leggere zampe di gallina che incominciavano ad ornare gli angoli degli occhi; la pelle poco elastica dell’addome ormai svuotato; i cuscinetti adiposi, asimmetrici ai fianchi e appena sotto la linea dei glutei.
Non sopportava più come lo guardava: aveva un leggero strabismo!
Perché non lo aveva notato prima?
Perché adesso la sua voce sembrava stridula oppure nauseabonda?
Perché quando lo toccava provava sempre quel senso di ritrarsi come una chiocciola nel suo guscio?
Il sudore delle sue mani… sembrava bava.
Quando ne era lontano non la pensava; quando la incrociava ne fuggiva lo sguardo.
E la sera, a letto, si riduceva a dormire sul bordo, il più possibile distante dal corpo di lei, voltandogli la schiena e serrando i denti nella speranza che non gli rivolgesse parola per paura di dover rispondere: al massimo con un grugnito comprensibile, perché altrimenti sarebbe iniziata una discussione interminabile.
Ogni tanto lo assaliva un dubbio: era sua moglie?
Che fine aveva fatto la donna che adorava e stimava, per la quale aveva perso la testa tanto tempo fa e che sapeva accendergli la passione ogni giorno?
Ultimamente faceva discorsi strani: considerazione, affidamento, impegno, condivisione, intimità
No, non era Ambra. Non poteva esserlo!
Ieri mattina si era pure dimenticata di dargli la solita aspirina per il cuore… voleva ucciderlo?
Ultimamente ce l’aveva con lui e non capiva perché.
Aveva incominciato a ignorarla. Ecco un’ottima arma di difesa.
Se proprio doveva, gli diceva sempre sì.
Sì, tesoro.
Certo, amore.
Condivido quello che dici.
Fai pure.
Non ti preoccupare…
Era Ambra oppure no?
Una notte fece un sogno. Una gran luce in camera da letto e un sibilo lieve ma continuo, accompagnato da ronzii a intermittenza.
Al risveglio pensò a quanto fosse stato pesante digerire il pasto della sera prima. Poi si fece coraggio e guardò Ambra.
Ancora dormiva, ma il respiro non era il solito: breve e veloce come quello di un cane ansimante. E la pelle aveva cambiato colore, più diafana.
No, non era Ambra…
Allora con l’indice le toccò una spalla, premendo leggermente. Sembrò affondasse nella gelatina e l’impronta lasciata ci mise un po’ a scomparire.
Lo invase il terrore!
Corse in bagno a vomitare. Dopo 10, 15, 20 minuti – non sapeva più quanto – rientrò cautamente in camera trovandola seduta sul letto.
– Che ti prende? Sei pallidissimo… Stai male?
Anche se era tornata la stessa di sempre, no: non era Ambra. Si fece coraggio e rispose:
– La cena… qualcosa deve avermi fatto male, forse i gamberetti.
– Torna a letto che ti preparo un the caldo al limone.
Si rimise sotto le coperte ma, sentendo il tepore lasciato da lei, la vista cominciò ad annebbiarsi, tutto a girare vorticosamente e svenne.
Il dottore ricondusse il fatto a una banale “indigestione”. Ovviamente non poteva sapere della finta Ambra.
Che fare, che fare… Quando erano in casa lei lo seguiva ovunque.
Che fai?
Come stai?
Vuoi qualcosa di caldo da bere?
Incominciava a soffocarlo. Avrebbe voluto fuggire.
Ambra, Ambra, amore mio. Dove sei? Che fine hai fatto?
Era stata forse rapita? E chi era quell’essere che aveva preso il suo posto?
Quella creatura non era di questo mondo.
Ora capiva tutto. La luce. Il sibilo. Il ronzio. Quella creatura era un alieno!
Ah! Tesoro.
Che ne dici di fare un picnic domenica al lago?
Organizzo tutto io.
Non ti preoccupare.
Così domenica mattina partirono prima dell’alba, con la scusa di pescare un po’.
Arrivati lì c’era ancora una bassa e leggera nebbiolina; l’acqua scura e calma.
– Ambra, amore mio. Ricordi? La magia del lago… È qui che ci siamo conosciuti e innamorati. Baciami.
Cosa può fare un uomo mosso dal disprezzo e dalla convinzione delle proprie idee…
E con finto trasporto le prese il viso avvicinandolo alle sue labbra. Il bacio – intenso, lungo – lo riportò indietro di un lustro e per un attimo riebbe la vera Ambra tra le sue braccia. Ma poi la lingua incominciò ad affondare sempre più, a srotolarsi giù verso la gola, proseguendo nella trachea e a gonfiarsi fino a occupare ogni minima fessura.
Ambra non respirava. Cercò con forza di ribellarsi. Qualcosa… qualcosa d’osceno l’avvolgeva tutta anche all’esterno, impedendole di muovere gli arti. Strabuzzò gli occhi.
E vide! Solo per un attimo.
Vide che il suo amato non era più lui. Vide un mostro.
Un attimo e poi il buio. La magia del lago era finita.
Il corpo scivolò silenziosamente in acqua.
E Giovanni si sentì finalmente libero.
Libero di essere se stesso.

22 aprile 2008

La magia © Paula Becattini