La felicità di Martina – Capitolo 7
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Il volo
L’angelo ha aperto le ali
e si è già lanciato dall’infinito del cielo.
Non vi è urlo che l’accompagna,
solo il silenzioso taglio dell’aria.
Sarà la sua caduta
a ricondurlo tra i mortali,
con il suo sogno imprigionato
sempre e comunque tra le ali…
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Capitolo VII
Gioele era in cucina, stava preparando una zuppetta di pesce, in piena eccitazione e gaiezza, al ritmo della musica dei PFM.
Aveva scelto ben due vini bianchi, uno per l’antipasto e l’altro per il primo piatto.
Quando era così creativo, tra i fornelli, i motivi potevano essere o tanto sesso o tanti soldi.
Martina lo lasciò stare: il suo compito sarebbe stato quello di gustarsi la cena e poi ripulire la cucina il giorno dopo. Così decise, nel frattempo, di sistemare le sue scarpe all’interno della cabina armadio della loro camera da letto.
È incredibile come la polvere s’insinui ovunque col tempo… raffiora sempre, è invadente come un pensiero malsano che logora l’animo.
Strusciò il dito indice destro su una scatola azzurra che sembrava pulita: il colore roseo del polpastrello divenne di un grigio quasi avorio, patinato.
Osservando attentamente vi potè scorgere dei granelli di chissà quale materia.
Prese il panno e, con calma certosina, cominciò a togliere una ad una, da destra a sinistra della fila, le scatole; a spolverarle esternamente, controllarne l’interno, posizionarle poi al centro della stanza.
Fatto questo, decise di proseguire con la fila delle scarpe di Gioele, ben più breve della sua. Ma, si sa, le donne hanno un debole per questo accessorio!
Arrivata quasi in fondo, tra le ultime due scatole vi scorse una busta incastrata: era palesemente scivolata da chissà dove, forse da una tasca di una delle giacche di Giole appese proprio sopra.
La prese: era con l’intestazione di un’associazione Humanitas. Gioele lasciava sbadatamente molte cose a giro: fatture, ricette, contratti…
Stava per riporla sul comodino quando l’istinto le disse: «Sembra vuota. Controlla. Forse è solo una busta da buttare.»
Non era sigillata: l’aprì.
Per un lungo attimo il respiro si fermò: vi era all’interno una breve lettera scritta di pungo da Giole e datata il giorno prima.
Un forte calore la invase ovunque; iniziò a sudare freddo; stava per collassare, lo sentiva; la testa le girava.
Mano a mano che continuava a leggere, la situazione peggiorava: arrivò in fondo per poi abbandonarsi seduta al bordo del letto con la lettera in grembo.
Fece dei forti respiri; si asciugò la fronte e poi attese: attese la calma.
Una volta ripresasi, rilesse quelle parole: una, due, tre volte.
28 luglio 2006
Ciao Fla…
nel mio inseguimento a destra credo che ci siano molte risposte alle tue perplessità.
Sono convinto che te lo sei goduto quasi del tutto (sai eri appena scesa e non avevi fatto rilassamento, perciò avrai perso alcuni attimi).
Ma ti sei subito ripresa, o meglio: ripersa in un abbraccio.
Ah, piccolo animalino scontento dello strapotere cerebrale delle nostre convizioni.
Ah, oggetti del desiderio sublimati in contorsioni al forno di una macchia di mezza estate.
Ah, quanto siamo succubi del nostro cervello!
Ma sembra divertente asservire in corpo ai desideri della mente, o meglio giocare con la mente per trasformare in accettabili senzazioni che altrimenti travolgono: oh, come è divertente, oh, come è divertente!
Ma a parte le peregrinazioni del momento, stasera ho sentito una Fla bellissima.
Non vado oltre, poiché il peso dell’assenza in questi casi è più opprimente.
Grazie per le scoperte che mi stai facendo fare come un fanciullo ghermito dalle tue muscolose (sensuali) gambe e portato in verpraterie di piacere.
Grazie.
L’abbraccio che ti mando è torrido, possente e con enorme bisogno di ripetizioni multiple.
Dice il saggio: il sesso non è tutto nella vita, ma aiuta a vivere meglio!
O era il denaro quello?!?Se si scrive che è stato bello è banale; se si riempie di avverbi di esaltazione si eccede; se lo si ignora lo si sminuisce.
Ma un sano silenzio godereccio delle sensazioni avute è una buona reazione a due ore come le nostre.Gioele
Un vuoto, un incolmabile vuoto si prese possesso di Martina.
Che fare adesso? Che dire? E dove andare?
Un mondo, un progetto di vita… frantumati in un attimo.
Che fare?
* * *
Ahi, ahi, Gioele…
Ma che ti è preso?!?
Perché ieri non hai consegnato a Fla quella maledetta lettera?
Non mi dire che…
Ma, insomma! Te la sei goduta, spassata; due ore di follia pura e – a causa di una missiva, sfogo del tuo ego maschile, distrattamente lasciata incustodita – ti fai scoprire così?
Rimorsi di coscienza verso Martina?!?
No, non va bene. Non ti riconosco più.
Come fai adesso a negare?
Comunque nega, nega sempre, anche l’evidenza, dato che ci tieni tanto.
Martina ti ama troppo e ti perdonerà.
Sei la sua vita.
E tu, purtroppo, hai bisogno di Martina più di quel che pensi o sostieni.
* * *
– Mamma, che fai?
– Sto sistemando le scarpe nella cabina armadio.
– La cena è pronta: Gioele ha già servito l’antipasto. Ha detto che deve fare un annuncio importante e vorrebbe ti sistemassi per l’occasione.
– Davvero?
– «Dille di mettersi il tubino blu con la collana di perle.»
– Ah, va bene. Datemi cinque minuti e arrivo. Anch’io devo fare un annuncio importante.
15 aprile 2014
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La felicità di Martina – Capitolo 7 © Paula Becattini
Lettera d’amore
Non ti lascio andare
– non ora –
che sei occhi tondi
di caratteri dalle grazie eleganti
tra centinaia di versi mai scritti
e molti implorati, sussurrati
nella penombra come preghiere.
Non capirebbe…
e rimarresti sgualcita chissà dove
mentre nel mio cuore
– sì, nel mio cuore –
hai un posto d’onore.
Non ti lancio in mare
non ti bagno di speranza vana
non ti lascio andare
– non ora –
che profumi nell’idea d’inchiostro
misto al colore di una carta
semplice e sottile, trasparente
come trasparente
è l’animo mio provato.
Vivrai per sempre sospesa
alla mia altalena di bambina
e gridata quando dentro piove
quando il vento scompiglierà
i miei capelli bianchi
quando spirerò l’ultimo sospiro.
Non andare, non capirebbe.
E se mai un giorno vorrà leggerti
saprà con dita tremule dove cercarti.
Non ti lascio andare
– non ora –.
20 maggio 2013
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Lettera d’amore © Paula Becattini
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Lettera di una madre alla figlia
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Amore mio, forse un giorno leggerai queste poche righe sullo schermo freddo di un palmare, così per caso, dopo l’aver girellato svogliatamente su qualche motore di ricerca.
Oppure, queste parole, ti giungeranno dalle pagine di un vecchio diario posto in un cassetto, nella speranza che tu le trova con vivido stupore.
E tutto ciò solo per dirti che mai ho voluto il tuo male.
Se mai te ne ho fatto – involontariamente – è stato un grave errore, il più grave che potessi fare nella vita.
Ma chi non sbaglia, tesoro mio?
Sapessi quanti sogni ho rincorso, quanti ancora ne ho da liberare riposti in fondo al cuore; quante strade ho preso che hanno portato al niente; quante solo dolore, fatica e tormento.
Ma il tutto per amore.
Tu, figlia mia, non sei stato un sogno, perché fino a poco prima del tuo concepimento non ti cercavo.
Difficile ammetterlo… eppure, dal momento in cui ti ho percepita nel mio ventre che ancora non eri un battito, ho provato immenso amore.
L’amore immenso che mai tradirà la nostra unione.
Basta un tuo sorriso a darmi sollievo; un tuo abbraccio spontaneo a darmi la forza per continuare a lottare; per credere che la vita non finisce a quarant’anni; che ancora avrò la possibilità di risollevarmi, per donarti tutto ciò che di bello esiste al mondo fin quando la gioventù ti permetterà di guardarlo con occhi puri. E insegnarti ad amare la vita, in modo che tu possa trasmetterlo ai tuoi figli.
Lotterò fino alla fine per darti il meglio.
Per far ciò è necessario mettersi in discussione e, a volte, ripartire da zero. Ma io lo so: sarai sempre al mio fianco, a rincuorarmi con i tuoi dolci occhioni.
Amore mio, forse un giorno leggerai queste poche righe sullo schermo freddo di un palmare, così per caso.
Oppure non sarai tu, ma una figlia di chissà quale madre, che come te l’ha amata immensamente.
TiVoglioBene…
9 maggio 2012
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Lettera di una madre alla figlia © Paula Becattini
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