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Tu ed io non ci tradiremo mai

Racchetta da tennistavolo

Tu ed io
non ci tradiremo mai
quand’anche, fatta mia
in una stretta di mano,
mi lascerai nella solitudine
di una sconfitta
con il vuoto e il peso
della responsabilità.
Ah, la violenza
la tenacia e la forza
generate da una promessa
mancata – ormai –
vibrano nelle tue fibre
arrivando alle mie.
Sei parte di me
sei la mia fuga
il mio orgoglio
che grida in silenzio
quanto avrei voluto
essere speciale
per qualcuno.
Sei la mia cura
come ogni goccia di sudore
sputata in quel gioco che è la vita
ed hai il sapore di sfida.

Alla mia racchetta

5 maggio 2013

Tu ed io non ci tradiremo mai © Paula Becattini


Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi?

La mia racchetta da tennitavolo

«Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi?»
– Per darci il libero arbitrio di chiuderle oppure no, penso… non lo so. –
«Ma possiamo chiuderle anche senza chiavi; e alla stessa maniera possiamo decidere di aprirle, non trovi? Non è libero arbitrio anche questo?»
– Sì, penso di sì. Ma perché mi chiedi ciò? Sono forse la persona meno adatta: non credo più in Dio. –
«Tu sei ancora una donna di fede.»
– Sono una donna infedele, vorrai dire. Ho tradito il mio Dio e chi mi voleva bene. –
«Sei stata tradita: è ben diverso.»
– Come vuoi. Fatto sta che non credo più in Dio, tanto meno negli uomini. E l’amore è un’utopia: mi sono stancata di lottare contro i mulini a vento. La croce non fa per me, nonostante ne abbia ancora di pesanti da portare. –
«Non ti sei rassegnata.»
– Eh? Ahahah! Ma che stai dicendo? Vaneggi… –
E un sorriso le si abbozzò sul viso, subito dopo oscurato come da un’ombra. Gli occhi diventarono improvvisamente tristi.
«Non ti sei rassegnata…» le sussurrò, sollevandogli il capo che nel frattempo si era reclinato da un lato, come in attesa di un bacio dolce sul collo. «Ci credi ancora all’amore, altrimenti non si spiega il perché ne dai a piene mani e senza chiedere niente in cambio, tu che hai bisogno di essere amata più di ogni altra persona su questa terra.»
– Non ho bisogno di niente… – disse tra i denti, scostando bruscamente il mento. – Ci prepariamo? –
«Abbiamo tempo ancora. E poi non mi hai risposto sinceramente.»
– A cosa? Alla domanda su Dio e le sue porte con le chiavi? –
«Già…»
– Ma tu cosa credi siamo venute a fare qua? Una catechesi oppure a salvare il salvabile? –
«Chissà! Forse entrambe le cose.»
– Ok… Ok! Ok! Dio non ha fatto le porte senza chiavi perché sapeva che l’uomo le avrebbe comunque inventate! E chiamale chiavi, chiavistelli o lucchetti, sempre la stessa cosa sono! Una chiusura, un limite, che separa lo spazio degli uomini da quello di Dio. Invece, l’unica porta senza chiave è Gesù Cristo: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato”. Dio non ha fatto le porte senza chiavi, perché di porta, ovvero “la Porta” senza chiave, ce n’è una sola! Comprendi? E poi noi, esseri umani che crediamo sempre di avere accesso a tutto, siamo i primi a porre limiti. –
«E tu?»
– E io? –
«Quanti limiti ti sei posta? Quanti chiavistelli ci sono alla tua porta?»
– Sono sempre io. –
«Oh, no: non puoi dirmi questo. Ti sei murata dentro.»
– Sono sempre io: nessun muro, nessuna porta chiusa a chiave. –
«Dal di fuori sembra così, ma chi ti “sente” comprende che ti sei chiusa dentro. Esisterà pure una chiave per penetrarti!»
– Ascoltami: andiamo? Tra poco dobbiamo dare il meglio di noi stesse e non mi stai aiutando affatto. Ci conosciamo ormai da tre anni; non sono giovane come te: ho bisogno di concentrazione e calma interiore. –
«Sì, ci conosciamo da tre anni e tu ancora non hai capito niente! Cavolo! Dove è la chiave per riaprire il tuo cuore ed entrarvi? Eh?!? Dove è?»
– Non c’è: me l’hanno rubata e mai più riconsegnata. Mi dispiace. Ora possiamo andare? Ho bisogno di sfogarmi. –
«Va bene. Però, prima, volevo dirti una cosa.»
– Zitta! Per favore, non aggiungere altro… Lo so cosa vuoi dirmi, lo so. Lo so da molto tempo. –
«E allora?»
– Allora andiamo. Vinciamo! E poi sfesteggiamo. –
«Tu sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita: non voglio perderti.»
– Anche tu sei una bella persona. Ho avuto tribolazioni varie. Il dolore è passato. Forse ora è giunto il momento di perdonarmi; tornare ad avere come tetto della mia casa il cielo; e la penna e la racchetta come estensioni non del braccio ma della mia anima. Riaprire porte e finestre per far entrare la luce e far fuoriuscire le emozioni, come scambio naturale di acque tra due mari. E poter dire “Ti amo” con il cuore, non con la ragione. Tornare a sognare… –
«Tornare a sognare…» ripetè piano la compagna di squadra. «Sogniamo e lavoriamo per questa vittoria: me lo hai insegnato tu che smettere di lottare è da vigliacche.»
Le porse la custodia con la racchetta.
Nel prenderla carezzevolmente vi sentì tutta l’audacia che a suo tempo vi aveva affidato.
Decise che oggi avrebbe aperto lei in partita prima degli avversari.
E ricambiò il gesto con un ampio sorriso.

1 marzo 2013

Perché Dio non ha fatto le porte senza chiavi? © Paula Becattini


Tennis tavolo: breve storia della racchetta

Racchetta da tennis tavolo del 1925

All’inizio erano a manico lungo, di forma ovale ma più piccola di quella da tennis. Alcune avevano le corde, altre carta pecora simile a quella del tamburello.
Poi nel 1890 si diffondono quelle in legno e di compensato.
In foto un esemplare del 1925: nuda, con il manico in sughero, verniciata con la coppale per non farla deformare… La pallina vi scivola sopra che è una bellezza!
E così, nel giro di pochi mesi, incominciano “sperimentazioni varie”. Per la ricopertura vengono usati il sughero, le tele, le gomme, insomma di tutto e di più.
Si racconta che un certo Cood, inglese, utilizzò una stuoia di gomma a rete (materiale usato nei negozi per non far rotolare le monete durante i pagamenti), vincendo così la finale di un torneo per 50 a 3.
Nel 1892 nasce la gomma con i puntini, usata fin nel 1960.
Nel 1930 si inizia a utilizzare in gara tre o quattro racchette diverse, a seconda del gioco s’intende fare: una di legno, una ricoperta di sughero, un’altra con gomma puntinata, ecc.
Ma la vera svolta della racchetta da tennis tavolo avviene nel 1952, quando ai campionati di Bombay Satoh, giapponese, utilizza una ricopertura di gommapiuma e diventa campione del mondo.
Per riequilibrare i livelli di gioco, nel 1959 si arriva a un compromesso tra asiatici ed europei, che consentirà comunque di mantenere vertici spettacolari al gioco: la gomma piuma può essere usata, però deve essere ricoperta da gomma con puntini, il tutto senza superare i 4 millimetri di spessore per faccia. Nasce la famosa copertura sandwich, gommapiuma più caucciù.
Nel 1960 nasce il top spin moderno ed è la rivoluzione del gioco. Chi non lo usa è tagliato fuori. Così, dopo qualche anno, il belga Toni Hold inventa la gomma antitop, una gomma dura e scivolosa, usata solo su una faccia: gli effetti non si sentono. I giocatori di sandwich vanno in crisi.
Finalmente nell’ottobre del 1977 il tennistavolo viene riconosciuto come sport olimpico e dalla Cina arriva la gomma con puntini lunghi, chiamata anche gomma erba.
Nel 1983 la federazione mondiale decide che la racchetta deve avere due colori, una a faccia rossa e l’altra nera. Con questa decisione scompaiono quasi del tutto le gomme antitop e a puntini lunghi.

Madonna del Ping Pong

Dopo questa breve storia della racchetta, non ci resta che allenarsi duramente!
E ogni tanto rivolgere una preghierina alla Madonna del ping pong.
Perché giocare è divertimento, ma vincere tira sù il morale!

4 aprile 2012

Tennis tavolo: breve storia della racchetta © Paula Becattini