Medusa
Dolce antica sposa del mare,
incanta la tua danza nuziale
e i tuoi veli volteggiare.
Verso la luce lo sguardo sale.
Il passato, il presente, il futuro: ormai non hanno più senso.
Si è persa la memoria. I ricordi vengono semplicemente archiviati.
Niente ci turba. Tutto ha una regola e tutto regolarmente scorre.
La mente, quasi vuota e libera da interferenze, vive ogni momento come singolo e il domani è programmato fin dall’inizio.
Anche chi scrive è stato predisposto per farlo, in questo preciso istante e per i giorni a venire, affinché gli eletti sappiano e niente vada perso.
Primo: osservare.
Secondo: registrare.
Terzo: non interferire.
La chiamano “medusa” ed è l’ultima della sua specie.
Mentre una èquipe di scienziati ne studia alimentazione, comportamento e riproduzione, io devo recarmi tutti i giorni, in turni predisposti, alla grande vasca ovale. Il lungo corridoio che la circonda è spoglio, tranne le postazioni dei computer che sono quattro e tutte a mia disposizione.
Posso solo osservare dal perimetro.
La vasca è al coperto. Ambientazione e luci imitano in modo straordinario l’ambiente naturale di questo animale.
Guardo attraverso il vetro: non scorgo niente. È probabile che ci vorranno ore, forse giorni prima che la veda.
A intervalli regolari sono posti lungo la parete della vasca degli oblò-lenti, che permettono di vedere a distanza attraverso l’acqua e con un ingrandimento del 10x. Ogni tanto mi affaccio ad uno di questi: niente.
Attendo. Non posso fare altro.
Sono trascorsi quattro giorni e oggi, alle 6am, ho intravisto in lontananza per la prima volta la sua ombra: indefinita, scura, immobile, tranne i tentacoli.
Il contatto è durato 4 minuti.
Nono giorno.
I sensori mostrano la medusa quasi sempre al centro del vasca. I suoi spostamenti sono molto limitati e circoscritti a pochi metri cubici.
Ormai osservo più la mappa della vasca al monitor che il vetro del perimetro.
Quattordicesimo giorno.
Gli eletti, contro il parere contrario degli scienziati, hanno deciso che debba svolgere il mio compito senza interruzioni, tranne il riposo fisiologico e l’alimentazione.
È stata predisposta per me una zona lungo il corridoio e disattivate le cellule del settore emozionale nell’emisfero sinistro del mio cervello. Prassi.
Diciasettesimo giorno.
Oggi, mentre stavo mangiando il pasto principale, ho avuto come la sensazione di essere osservato… Ho guardato attraverso il vetro della vasca di fronte a me senza scorgere nulla. Mi sono anche affacciato all’oblò-lente più vicino… Sono quindi andato a controllare la mappa al monitor. Ho avuto un attimo di smarrimento: il sensore non dava alcun segnale di vita. Mi sono voltato di scatto verso la vasca e l’ho vista!
Due secondi. Due lunghissimi secondi. Poi niente.
Il sensore ha ripreso subito a funzionare, segnalando la medusa al centro della vasca.
La cosa veramente strana è che, adesso, non riesco a trovare parole per descriverla.
Ventesimo giorno.
Si chiedono come abbia potuto provare la “sensazione” di smarrimento.
Nel frattempo continuo a osservare registrando ben poco, visto che la medusa non si fa mai vedere…
Ventiduesimo giorno.
Oggi mi sento strano. Ho dormito male e ho come un continuo ronzio in testa.
Venticinquesimo giorno.
Hanno deciso di interrompere il mio compito tra qualche giorno.
Ventisettesimo giorno.
La medusa continua a starsene al centro della vasca. Domani sarà il mio ultimo giorno di servizio. Spero di dormire meglio questa notte. Il ronzio si è attenuato, ma ho come uno strano presentimento.
Sei tu, mia regina del mare…
Sei tu, bianca e vellutata seta
che, rigonfia di carezze avare,
mi trascini lontano senza meta.
«Il passato, il presente, il futuro: ormai non hanno più senso».
C’è silenzio tutt’intorno.
«Tutto ha una regola e tutto regolarmente scorre».
Si sente solo un leggero rumore d’acqua, come di risacca marina.
«La chiamano “medusa” ed è l’ultima della sua specie».
L’ultima della sua specie… l’ultima della “mia” specie.
«Si chiedono come abbia potuto provare la “sensazione” di smarrimento».
Tu hai “provato” e ciò ti fa umano…
«Domani sarà il mio ultimo giorno di servizio».
Svegliati, stai sognando…
«Spero di dormire meglio questa notte».
Stai sognando perché io ti sto chiamando… Svegliati e avvicinati al vetro: voglio vederti meglio, guardarti negli occhi, sentire il tuo cuore battere e la tua bocca emettere un sospiro.
«La cosa veramente strana è che, adesso, non riesco a trovare parole per descriverla».
Svegliati… svegliati… o non potrò più osservarti mentre cadi nel torpore del riposo. Non potrò più osservare le tue membra abbandonate.
«…non riesco a trovare parole per descriverla».
Non riesci a trovare parole per descrivermi perché, in realtà, è come se tu non mi avessi mai vista… Mi hai guardato solo con gli occhi, non con il cuore: hai ancora molto da imparare. Dovrai riscoprire ciò che ti hanno fatto dimenticare.
«…non riesco a trovare parole per descriverla».
Svegliati… svegliati! Ti ho studiato a lungo: sei diverso dagli altri. Perché mi resisti? Perché non ti abbandoni alle emozioni? Nonostante loro ti abbiano disattivato il settore, ne sei capace. Sei umano… Abbiamo poco più di 24 ore, poi ci separeranno: chissà cosa ne sarà di me. Aiutami… aiutami… guardami…
Sei tu l’incertezza, il mistero,
la trasgressione, la passione.
Mi rendi umano e misero:
non sai quanto male ero…
Il ronzio era ripreso.
Il sonno travagliato. L’aria calda e pesante.
Il corpo sudato, la fronte madida, gli occhi lacrimanti.
Al di là del vetro lei, sospesa nell’acqua, fluttuante, senza peso e… bellissima.
Una creatura di un altro mondo, di un’altra dimensione, che sapeva emanare sensazioni e parlare senza parole.
La meraviglia, l’incredulità e infine la gioia: ecco quel che si provava alla sua vista.
Giochi di luce l’avvolgevano: trasparenze acquatiche e riflessi marini; colori perlacei e indescrivibili.
Lui corse al vetro, fredda barriera spessa 20 cm.
Lei ondeggiò in avanti, fermandosi a due braccia da lui.
Lui si chiese se non avesse delle allucinazioni, perché lei era come un angelo e aveva due occhi profondi come il suo stesso mare; e sotto i veli poteva scorgere le membra, membra di donna: sottili, longilinee…
I capelli, color oro, sembravano morbidissimi tentacoli che pulsavano come un respiro.
Quello sguardo fisso al suo lo rendeva quasi impotente e allo stesso tempo fiero, finché non scorse un tremito sulle labbra di lei e gli arrivò un’immagine nella mente. E il suo stomaco si strinse come in una morsa. Si attaccò al vetro, quasi battendo i pugni: voleva urlare un nome che non conosceva, perché sicuramente non era Medusa; perché lei era l’ultima divinità su questa terra.
Scivolò in ginocchio. La bocca sul vetro quasi a cercare di baciarla. E l’immagine altro non era che amore. Stava quasi per piangere, perché sapeva di aver dimenticato… e adesso ricordava. Ricordò sua madre che sempre l’aveva guardato con logica distanza e i prati meravigliosi che mai aveva calpestato. Ricordò gli anni di scuola trascorsi accanto a compagni che altro non erano che un numero di matricola. E l’indifferente espressione della compagna che gli avevano assegnato, e con la quale si accoppiava con altrettanta indifferenza.
Cadde disteso a terra. Le braccia aperte in attesa di qualcosa.
Volgendosi verso di lei, vide ciò che voleva vedere: una visione. Lentamente, senza peso e consistenza, lei attraversò il vetro della vasca e si librò sopra di lui.
Unico il pensiero: “Sì, voglio sapere… voglio sapere…”
E lei si adagiò su di lui.
“Voglio sapere…”
Lui iniziò a sentire un piacevole calore lungo tutto il corpo. E le mani di lei incominciarono ad accarezzarlo sul viso, a disegnare linee invisibili, a giocare con i suoi capelli. E poi quegl’occhi grandi che sempre più riempivano i suoi; e quella dolce bocca che abbozzava lievi sorrisi e sembrava gorgogliare di indescrivibile gioia.
“Voglio sapere… voglio sapere…”
Ed ecco finalmente il vero contatto. Due respiri intrecciati.
Ubriaco di baci e ancora avido di carezze, aspettò il culmine della tempesta. Ed arrivò come una lunga scarica elettrica, abbagliante. Come una lunga scarica elettrica…
* * *
Dolce antica sposa del mare,
incanta la tua danza nuziale
e i tuoi veli volteggiare.
Verso la luce lo sguardo sale.
Sei tu, mia regina del mare…
Sei tu, bianca e vellutata seta
che, rigonfia di carezze avare,
mi trascini ancora senza meta.
Sei tu l’incertezza, il mistero,
la trasgressione, la passione.
Io, invece, umano e misero:
non sai quanto male ero…
Portami con te, lontano.
Rendimi eterno amante.
Fammi tuo e sarò deserto,
oasi, carovana e… manna.
Chi scrive è stato predisposto per farlo, in questo preciso istante e per i giorni a venire, affinché gli eletti sappiano e niente vada perso. Il mio predecessore è stato trovato morto alle 5am del suo ventottesimo giorno di servizio.
Primo: osservare.
Secondo: registrare.
Terzo: non interferire.
La chiamano “medusa” e molto probabilmente non sarà l’ultima della sua specie.
Sta per riprodursi e nessuno ancora si spiega come ciò sia possibile…
10 ottobre 2002
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Medusa © Paula Becattini
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Pentax K100D
04/08/2008 – 19:58
Velocità otturatore: 1/45 sec
Numero di apertura: f/4
Iso: 1600
Lunghezza focale: 24 mm
Metodo misurazione: pattern
Pixel: 2008 x 3008
Scatto in formato: JPG
Rielaborazione grafica: sì
bellissimo il post, io che adoro le figure acquatiche ,,wow ne vorrei nel mio acquario
ciao
daniele
27 aprile 2011 alle 1:19 PM
Ti ringrazio Daniele.
Sì, le meduse le trovo affascinanti… anche se, quando sei in acqua al mare, è meglio non incontrarle! 🙂
È difficilissimo allevarle in un acquario a casa, perché hanno bisogno di un flusso omogeneo e circolare, ma non è nemmeno impossibile!
Un caro saluto,
Pau
27 aprile 2011 alle 1:50 PM